L'INTERVISTA

venerdì 27 Gennaio, 2023

Rooming-in dopo il parto, l’analisi del primario Taddei: «Benefici scientifici, ma servono controlli»

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Dopo il tragico episodio all’ospedale «Sandro Pertini» di Roma dove un neonato ha perso la vita soffocato dalla madre mentre veniva allattato, parla il direttore dell’unità operativa di ostetricia e ginecologia: «In Trentino supporto costante anche dopo le dimissioni. Percorso nascita, l'80% delle donne lo sceglie»

Quella morte precoce e improvvisa, a poche ore dalla nascita, ha scosso l’opinione pubblica. Nella notte fra il 7 e l’8 gennaio, all’ospedale «Sandro Pertini» di Roma, un neonato di tre giorni appena è deceduto mentre la madre lo allattava, con tutta probabilità soffocato. La donna, provata da un lungo travaglio, s’era addormentata. Una disgrazia ora affidata alle indagini della Procura che, al di là dei risvolti particolari, ha aperto un dibattito generale sulla violenza ostetrica, sui diritti, acquisiti oppure negati, delle neomamme e sul cosiddetto rooming in, ossia la metodologia che s’è via via affermata nei reparti degli ospedali e che consente alle neomamme di tenere da subito i propri neonati con sé in stanza, 24 ore su 24. Una pratica scientificamente validata, spiega Fabrizio Taddei, direttore del dipartimento transmurale ostetrico ginecologico e direttore dell’unità operativa di ostetricia e ginecologia di Trento e di Rovereto, che non va messa in discussione. A fare la differenza, spiega, sono piuttosto i protocolli di sicurezza, la sorveglianza e il sistema complessivo di accompagnamento e cura – nella sua accezione non solo sanitaria ma anche e soprattutto emozionale – delle neomamme. Un sistema composito che – dice il primario – si riflette nel funzionamento del percorso nascita attivo in Trentino e scelto – nel 2022 – dall’80% delle partorienti. «Una rete territoriale competente dà valore alla diade e già all’indomani delle dimissioni viene presa in carico la coppia», dice Taddei. Quanto ai diritti delle partorienti, l’anestesia peridurale è garantita a chiunque. «Il 30% delle donne ne fa richiesta, questo significa che il rimanente 70% sceglie di non utilizzarla anche grazie alla posizione libera o al parto in acqua che consentono il controllo del dolore».
Direttore, quanto accaduto a Roma ha scosso l’opinione pubblica, aprendo un ampio dibattito sul tema del rooming in e, in parte, sulle disposizioni Covid che limitano gli accessi quindi il supporto familiare alle neomamme. Per prima cosa: quanto accaduto è considerato una fatalità?
«Se si fa riferimento al collasso neonatale improvviso e inaspettato (in acronimo Supc: Sudden Unexpected Postnatal Collapse, ndr), è da considerarsi un evento molto raro, legato alla prima settimana di vita e con una incidenza di 8 neonati ogni 100mila. Un evento a volte causato da patologie non diagnosticate, anche in bambini apparentemente sani Per contenere il fenomeno, che come detto accade raramente, vengono messe in atto procedure specifiche che mettono al centro la sicurezza e l’informazione. Sul rooming in messo in discussione ricordiamoci che non ci sono dubbi: Organizzazione mondiale della sanità, Unicef e tutte le associazioni di pediatria, neonatologia, ostetricia e ginecologia sottolineano l’importanza di questa metodologia e dell’assistenza che metta al centro la diade, madre e neonato. L’iniziativa ospedali e comunità amici dei bambini e delle bambine, che ricordiamo coinvolge tutti i punti nascita del Trentino, raccomanda di sostenere madri e bambini nello stare insieme, in ospedale e a casa. Questo per facilitare e proteggere la relazione e favorire l’attaccamento».
Quali sono i presupposti scientifici di questo approccio?
«Accompagna l’allattamento a richiesta e responsivo, facilita lo sviluppo neurocomportamentale del bambino, riduce le morti improvvise (la SIDS, dall’inglese Sudden Infant Death Syndrome) e il collasso post natale. Potremmo dire che la gestione separata madre-neonato, che è storia passata, ostacola la fisiologia e la relazione. Lasciare il bambino vicino alla mamma, a partire dal pelle a pelle (ossia il contatto fra madre e neonato nelle prime due ore dopo il parto, ndr) riduce le cadute e riduce e le morti improvvise».
Quindi, non è il metodo a dover essere discusso ma la cura, la sicurezza e la sorveglianza nelle ore successive al parto a rivelarsi decisive?
«Protocolli di sicurezza e informazione sono centrali: sia nei nostri punti nascita sia le figure professionali che accompagnano a domicilio raccomandano la mamma di adagiare il neonato nella culla a pancia in su, in posizione supina, condividendo tutte le informazioni sulla gestione in sicurezza del sonno. Se la mamma sceglie di mantenere il neonato con sé deve aver ricevuto e compreso le informazioni a proposito del sonno sicuro. E soprattutto: una mamma che vuole tenere il bambino a letto deve conoscere i rischi del bed sharing, da evitare considerata la stanchezza eccessiva. Noi nei nostri reparti per ridurre i rischi prevediamo dei controlli frequenti, per verificare il benessere della mamma e del neonato. Perché questo? È inevitabile, malgrado si raccomandi di tenerlo in culla, che le madri si addormentino. Quindi si deve lavorare sulla comunicazione e sulle informazioni legate alla sicurezza».
Ma se le madri sono stanche possono affidarsi al nido? Gli anni della pandemia e le regole di contenimento del contagio hanno stravolto gli spazi di visita riducendo i momenti di supporto familiare, le neomamme hanno la possibilità di staccarsi temporaneamente?
«Certo: il nido esiste nel momento in cui la mamma necessiti di prendersi del tempo, lo può fare. Ricordiamoci poi che in Trentino anche ai tempi Covid in situazioni cliniche particolari abbiamo previsto la presenza di un familiare o di un caregiver in modo assiduo, per stare accanto alla mamma e per garantire che il bambino potesse dormire serenamente. Questo approccio, orientato all’accompagnamento, non finisce in ospedale: le dimissioni precoci, dopo 48 ore dal parto e imposte dalla pandemia, sono sostenute da una rete territoriale competente che dà valore alla diade e già all’indomani delle dimissioni viene presa in carico la coppia, in continuità con quanto previsto nelle prime ore di vita. Sostenere l’allattamento, controllare la sicurezza e informare i genitori sono passaggi fondamentali e diffusi in tutto il territorio».
Il percorso nascita, in effetti, segue prima e dopo il parto. Con quali percentuali di adesione?
«I dati riferiti ai nati del 2022 confermano che l’80% delle donne gravide fanno il primo colloquio con il percorso nascita».
La vicenda del neonato morto a Roma, oltre al rooming in, ha aperto il dibattito anche attorno alla cosiddetta violenza ostetrica. Il Trentino, a proposito di posizione libera nel travaglio di parto e analgesia peridurale, può considerarsi all’avanguardia. Quali sono i numeri?
«Le posizioni libere qui sono la prassi e lo sono state anche al tempo del Covid, non sono una alternativa. Tra l’altro: le posizioni libere favoriscono il parto in tutte le fasi, controllando il dolore. L’analgesia peridurale, garantita a chiunque ne faccia richiesta, è scelta dal 30% delle partorienti. Questo significa che il 70% non la richiede, trovando altre possibilità per alleviare il dolore. Come il parto in acqua, che non sempre è garantito. Ricordiamo poi il rapporto partoriente-ostetrica, che in trentino è one to one per dodici ore».
Quanto agli orari di visita? Pensate di tornare alla riapertura libera?
«In questo mese abbiamo ampliato le fasce orarie par fare in modo che il partner possa esserci almeno sei ore al giorno, fra mattina e pomeriggio. Il rischio pandemia non è finito e dobbiamo avere una priorità: far uscire donne sane, evitando contagi. Restano le dimissioni a 48 ore, ma il 40% delle partorienti sceglie la visita a domicilio, proseguendo con l’accompagnamento delle neomamme».