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giovedì 11 Aprile, 2024

Riccardo Canesi: «Spiego la geografia attraverso la musica. De Andrè ci insegna Genova»

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Il professore domani sarà a Trento per una lezione-concerto: «Gli strafalcioni geografici sono all’ordine del giorno: dalla Val d’Orgia alla Striscia di Garza. Il problema è che ormai non se ne vergogna quasi più nessuno»

«Questa è la storia | di uno di noi | anche lui nato per caso in via Gluck | in una casa, fuori città | gente tranquilla, che lavorava | là dove c’era l’erba ora c’è | una città | e quella casa in mezzo al verde ormai | dove sarà». La voce di Adriano Celentano è nella nostra memoria collettiva ma abbiamo mai pensato che questa sia la prima canzone ambientalista della storia della canzone italiana? Era il 1966. Forse sì. Ma probabilmente nessuno ha mai pensato che con questa e altre canzoni si possa insegnare la geografia. Riccardo Canesi, classe 1958, «carrarino» (ovvero carrarese fino al midollo), è stato professore di geografia generale e economica in un istituto tecnico commerciale toscano fino al 2020. Oggi è in pensione ma resta attivissimo: musica e geografia le sue stelle polari. Domani, venerdì 12 aprile, sarà a Trento, a Palazzo Prodi, ospite della «Notte europea della geografia» (dalle 20.45 alle 23) organizzata ogni anno dal Dipartimento di Lettere dell’Università, in collaborazione con l’Aiig, Associazione italiana insegnanti di geografia. Una lezione-concerto in cui saranno proposti brani da canzoni italiane più o meno note, grazie all’intervento del duo Monica Giorgetti (voce) e Roberto Gorgazzini (pianoforte). Il titolo dell’originale serata è «Cantare i luoghi. Viaggio geografico nelle città attraverso la canzone d’autore». Sul tema, il professor Canesi ha pubblicato un libro nel 2018: «Le città da cantare. Atlante semi-ragionato dei luoghi italiani cantati».
Professor Canesi, ci racconta come è nato il suo primo amore, quello per la geografia?
«Da bambino, alle scuole elementari. Sono sempre stato catturato dalla geografia, che io considero la scienza dei luoghi. Mio nonno, che lavorava per un’azienda che commercializzava i marmi di Carrara nel mondo, e viaggiava tanto, mi portava i francobolli dai diversi paesi in cui si trovava per lavoro. Ho maturato una curiosità per il diverso che è la base della geografia».
Dovesse dare una definizione efficace di geografia?
«La disciplina che spiega il perché del dove. Troppo a lungo è stata considerata arida, nozionistica. Forse lo è anche stata. I dati sono importanti. Ma poi ha la capacità di indagare e cercare di spiegare la complessità, riflettendo sulle interrelazioni».
Perché, allora, è stata ed è ancora la cenerentola delle materie scolastiche, spesso diluita in altre discipline (paga la sua natura trasversale tra scienze naturali ed umane) o dimenticata?
«In Italia è difficile cambiare gli assetti scolastici: se si potenzia una disciplina si va ad intaccare le altre. Al ministero c’è sempre stata una scarsa conoscenza dei programmi di geografia da parte dei decisori politici. Unica eccezione, l’ex ministra Carrozza, ma ha avuto poco tempo».
Gli strafalcioni geografici sono purtroppo all’ordine del giorno, segno che la disciplina è negletta. E ne sono protagonisti personaggi in vista.
«Certo, come il candidato presidente della regione che ha assegnato all’Abruzzo non due ma addirittura tre mari che lo bagnerebbero… Non mancano i grossolani errori anche nei media, Ho scritto un libro, “Mucche allo stato ebraico” che raccoglie tanti di questi svarioni e gaffe: dalla Val d’Orgia alla Striscia di Garza… Il problema è che ormai non se ne vergogna quasi più nessuno».
Eppure la geografia servirebbe molto per…?
«Per capire il mondo, ma anche per uscire dall’ignoranza ambientale. Se in Italia siamo più indietro su certi temi, è anche perché abbiamo messo in disparte la disciplina. E pensiamo ad opere fantasmagoriche, spesso inutili. La geografia permette di sviluppare un amore per il territorio, un approccio affettivo o sentimentale che parte dal nostro vissuto, verso il bene comune».
La tecnologia ha ucciso le speranze residue di veder riabilitata e nobilitata la geografia?
«Anche andare a piedi a scuola, per un bambino, è fare geografia. Oggi portiamo i bambini in macchina, Abito ai piedi delle Alpi Apuane e vi assicuro che sento di continuo di escursionisti a cui si scarica lo smartphone e sono senza cartina geografica: si perdono con grande facilità. Non riusciamo più a sviluppare il senso dell’orientamento, i bambini non conoscono le proprie città, vengono spostati come pacchi, e questo incide sullo sviluppo della psiche».
Come ha avuto l’idea di un libro che spiega la geografia attraverso le canzoni dedicate alle diverse città italiane? O viceversa…
«Certo, la musica spiega la geografia e la geografia spiega le canzoni. È un beneficio reciproco. Ho cercato un legame tra le mie due grandi passioni, geografia e musica. L’ho trovato soprattutto nelle città cantate. Sono i luoghi più cantati: il 73% degli italiani vive nelle città, e più di metà della popolazione mondiale. Sono nato nel 1958, l’anno di “Nel blu dipinto di blu”, il grande inizio della canzone italiana: ho avuto la fortuna di vivere gli anni Sessanta e Settanta, quelli dei grandi cantautori, della musica che diventa pop e anche industria di massa. Un privilegio della mia generazione, che da quelle note e parole ha tratto una vera educazione sentimentale. Tanti miei studenti si sono appassionati della musica di quegli anni. Ho iniziato a scuola, da insegnante, senza pretese, a cercare di insegnare la geografia attraverso le canzoni e i cantautori. Per il libro ne ho censite 750, quasi tutte italiane, che parlano di città. L’elenco non è definitivo né concluso. La musica, come il cinema, è uno strumento didattico naturale».
Questo viaggio ideale nella geografia delle città cantate quali tappe imprescindibili deve avere?
«Milano. La via Gluck: prima canzone ambientalista della nostra tradizione. Vecchioni, Alberto Fortis, per citare alcuni dei cantautori più iconici. Poi c’è Genova, con la cosiddetta scuola genovese. De André, Bruno Lauzi. Attraverso le loro canzoni si capisce l’identità della città: Genova non a caso, ci sono ragioni geografiche. È sul mare, aperta alle contaminazioni, vicino alla Francia: De André si abbevera alla tradizione francese: Brassens, Trenet, il belga Brel. Nel secondo dopoguerra ci sono gli americani che portano il jazz e lo swing: ci fu un’osmosi straordinaria. Il piemontese Paolo Conte, turbato dal mare ligure che non dorme mai. Bologna, perfettamente descritta da Claudio Lolli, Lucio Dalla e Francesco Guccini, come una Parigi minore, come una donna emiliana dallo zigomo forte, “col culo sui colli e il seno sul piano padano” (Guccini). Restando al Nord, la Trieste di Lelio Luttazzi e Teddy Reno».
Scendendo al Centro e al Sud?
«La Firenze di Ivan Graziani, la Roma di Venditti, De Gregori, Cocciante, Baglioni, ma anche del calabrese Rino Gaetano. Napoli meriterebbe da sola un volume: esiste, non a caso, la canzone napoletana, un vero e proprio genere. Tra i più grandi cantori della città nelle sue contraddizioni ci sono Pino Daniele e Edoardo ed Eugenio Bennato. Ma anche i 99 Posse. Poi la mediterraneità di Mango, lucano».
Una tradizione, quella di cantare le città, che si riscontra anche nella musica più recente?
«Sì, anche nei testi di rapper e trapper ci sono molti riferimenti: soprattutto alle periferie, luoghi di rabbia, disperazione, solitudine. Penso a Mahmood, Marrakech, per citarne solo alcuni».
Insomma, la geografia attraverso le note riesce a spiegare il perché del dove.
«A scuola per parlare di Irlanda cosa c’era di meglio del videoclip degli U2 Sunday bloody Sunday? O di Miss Sarajevo, sempre degli U2, per la guerra in Bosnia? La musica ha il potere di essere trasversale, interclassista, come la geografia».