Reportage

giovedì 19 Gennaio, 2023

Pinè, viaggio sull’altopiano senza olimpiadi: «Illusi e delusi dalla politica»

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Olimpiadi, la quasi rinuncia fa arrabbiare l’altopiano che votò Lega: Provincia, Coni e Cio nel mirino: «Subìto un danno d’immagine». Ma c’è chi va controcorrente: «Un piano B con risorse va bene»

Delusione, scarsa fiducia nelle ulteriori promesse di compensazione, richiesta di concretezza delle proposte alternative e che arrivino veloci fatti e soldi, ma anche un ragionamento stratificato e posizioni diverse: questo emerge da una giornata trascorsa a Piné, parlando con cittadini, albergatori, membri delle associazioni, esercenti.
L’urgenza per tutti è di sistemare e ammodernare il vecchio Ice Rink (anche per le pericolose perdite di ammoniaca che sono in atto da tempo dall’impianto di refrigerazione attuale), e rilanciare il turismo intorno allo sport e contestualmente la stagione invernale. Si parla anche di un brutto danno d’immagine. «Qui siamo passati dall’essere una destinazione olimpica a qualcos’altro», commenta amaramente Gomer Colombini, titolare dell’albergo Olimpic, che si affaccia, a Miola, proprio sull’attuale Ice Rink. «C’è un contraccolpo d’immagine. Tutto viene sostituito con promesse elettorali. Rischiamo che il territorio resti fregato due volte». Colombini attribuisce al Comitato olimpico internazionale (Cio) parte del guaio. «Alla radice del problema — afferma — ci sono le richieste insostenibili del Cio. Nelle gare internazionali di pattinaggio veloce non si riempiono mai le tribune, dovrebbero rivedere le pretese in base alle dimensioni reali della disciplina, che è di nicchia. Si sarebbe potuto fare un progetto meno costoso, anche per i costi di mantenimento successivo, e portare a casa il risultato».
Qualcuno commenta in chiave elettorale: «Fugatti ha perso punti, si scorda il nostro voto alle prossime elezioni». Massimo Sighel, presidente dell’Asuc di Miola, è deluso «da tutti, Comune, giunta provinciale, Cio, Coni, Malagò (che del Coni è presidente, ndr): loro hanno fatto promesse ma se avessero parlato anche dei problemi, magari insieme li avremmo anche risolti. Sarebbe stata un’opportunità unica di sviluppo. Lo stadio avrebbe portato tante attività alternative, non solo il pattinaggio. Ad esempio in inverno si si sarebbe potuto anche creare una pista da fondo con un anellino, dato che abbiamo già l’illuminazione. A Torino della loro struttura cosa ne faranno dopo le Olimpiadi? Qui l’avremmo utilizzata». Delle promesse, pensa questo: «Adesso tutti promettono ma poi, dopo che si vota, i soldi non ci sono più in questi casi».
La paura è che insieme alle risorse per l’Oval olimpico, svaniscano anche quelle promesse per tutto il resto. «Speriamo che quei soldi arrivino comunque. Qui mancano molte cose — spiega Francesco Bort, il giovane titolare dello storico “Imbarcadero” — e manca una stagione invernale e anche un poco di spirito di iniziativa negli imprenditori per fare rete e rilanciare. Mancano poi le corse delle corriere, l’illuminazione pubblica, i marciapiedi, una piccola pista da sci, magari nella conca di Brusago. Quindi, vista la situazione, anche un piano B con adeguate risorse sarebbe una buona soluzione. C’era in previsione anche una quota di fondi per le attività private, servirebbero a mettersi in gioco».
Elio Tomasi, fra i decani della ristorazione in altopiano, aprì a Miola il suo ristorante «Da Gigi», con il fratello, nel 1969. Ha visto crescere l’attività dell’Ice Rink e il turismo. «Questa era un’occasione unica per essere al centro dell’attenzione. Un tempo i clienti si litigavano le sedie — racconta — adesso dobbiamo offrire da bere per trattenerli. Le Olimpiadi sarebbero state una grande opportunità di rilancio. Adesso sono deluso. E il contentino ce lo daranno, forse. Io dicevo che dovevamo coprire il Rink già trent’anni fa. Mi rimane una piccola speranza che qualcosa si faccia».
Nei bar, gestori e dipendenti raccontano di un paese diviso: «Sentiamo le persone discutere, con posizioni anche molto diverse e opposte. Ci sono molti contrari, che pensano che i soldi andrebbero usati per fare altre cose». E c’è chi pensa: «In fondo il progetto era sovradimensionato, possiamo valorizzare meglio quello che abbiamo»