Calcio
mercoledì 9 Novembre, 2022
di Stefano Frigo
All’appello manca solo, almeno per il momento, l’Oceania. Tutti gli altri continenti sono invece ampiamente rappresentati. Il Gruppo Sportivo Cristo Re, società calcistica dell’omonimo quartiere di Trento, è un esempio concreto di cosa voglia dire procedere parallelamente con lo sport e l’integrazione. I tesserati, dai più piccoli, che hanno 6 anni, ai componenti della prima squadra, sono circa 200 ma quello che colpisce è il numero di nazionalità presenti. A fare il punto della situazione sono il presidente Federico Castaldini (al vertice del club dal 2000) e il direttore sportivo Dennis Gretter. «Abbiamo tutte le squadre del settore giovanile dai “piccoli amici” alla “juniores”, con i più grandi partecipiamo al campionato di prima categoria – esordisce Castaldini -. Lavorando quotidianamente a stretto contatto con i nostri atleti forse non ci rendiamo neppure conto sino in fondo del melting pot culturale che ci contraddistingue e definisce. È indubbiamente una ricchezza sotto tutti i punti di vista».
Mappamondo
La cantera, per dirla alla spagnola, del Cristo Re è praticamente un mappamondo con calciatori in erba che provengono da – rigorosamente in ordine sparso – Albania, Macedonia, Moldavia, Ucraina, Polonia, Cina, India, Pakistan, Tunisia, Marocco, Algeria, Ghana, Senegal, Congo, Colombia, Argentina. «Negli ultimi dieci anni la provenienza dei tesserati è diventata molto più eterogenea rispetto al passato, il 70–80 per cento di loro è residente insieme alle proprie famiglie nel nostro quartiere – continua il presidente –. Direi che siamo lo specchio fedele del tessuto sociale che ci circonda. Problemi particolari? Mai avuti, anzi. Spesso i ragazzini aiutano i loro genitori ad integrarsi, hanno meno timore e imparano più velocemente la lingua. Poi in campo regnano il pallone e il divertimento. Non esistono più nazionalità, quello che conta è solo il gioco».
Tariffe popolari
Il Cristo Re applica tariffe molto popolari: «Non abbiamo mai mandato via nessuno, questo è un qualcosa di cui andiamo molto fieri – evidenzia il direttore sportivo –. Quando veniamo a conoscenza di situazioni particolari riusciamo sempre a trovare una soluzione, piuttosto i problemi nascono quando c’è da tesserare un bambino che proviene da un altro Paese. In quel caso tutta la documentazione dev’essere spedita alla Federazione italiana giuoco calcio (Figc) di Roma che poi inizia una serie di procedure che possono durare anche tre mesi. In quel periodo il diretto interessato è ovviamente costretto a stare fermo. Purtroppo non dipende da noi». Il direttore sportivo evidenzia poi un altro aspetto: «Dal punto di vista sociologico ho notato che i giovani con differenti nazionalità sono generalmente molto attenti e rispettosi del ruolo dei genitori. Non so perché ma è un dato di fatto, i ragazzi con cui abbiamo a che fare noi sono quasi tutti educati e corretti. Il cliché della cosiddetta seconda generazione difficile qui non si vede, certo poi quando arrivano ai 17–18 anni tanti lasciano ma in una città come la nostra verremmo a sapere dovessero prendere strade pericolose».
Razzismo
Attenzione però: non è tutto oro quello che luccica. Il rovescio della medaglia è infatti rappresentato dai problemi che spesso si trova ad affrontare la prima squadra. «Partiamo dal presupposto che non voglio generalizzare né accusare qualcuno in particolare – precisa Castaldini – Il problema legato al razzismo è presente e lo sanno un po’ tutti. In diverse situazioni i nostri giocatori hanno dovuto subire insulti razziali. È un qualcosa davvero complicato da accettare nel 2022, diventa poi difficile mantenere la calma e soprattutto tranquillizzare i giocatori colpiti». Gretter entra nel dettaglio: «Certo che succede, perché dovremmo negarlo? Soprattutto quando si gioca in campi lontani dalla città e ancora di più se passiamo in vantaggio. Personalmente sono davvero amareggiato di ascoltare epiteti dalla tribune come “negro di merda” o “zingaro del cazzo”. E gli stessi avversari in campo ogni tanto si comportano nello stesso modo. Come ha detto il presidente non è la norma ma neppure un’eccezione. Sino ad ora le situazioni non sono mai degenerate in qualcosa di più grave ma è chiaro che quando entrano in gioco determinati stati d’animo il nervosismo e l’animosità aumentano. E non poco». Il numero uno della società riprende il discorso spiegando che «in 20 anni non ho mai visto un solo giocatore espulso perché ha pronunciato frasi offensive così come non mi risulta che in qualche referto siano stati riportati gli insulti provenienti dalle tribune. Evidentemente i direttori di gara sono più attenti ad altri aspetti…». Non spetta certo al Cristo Re trovare una soluzione a questo problema: «I vertici della Figc provinciale ne sono al corrente, non è un qualcosa che riguarda solo noi – conclude Castaldini –. Secondo me è una sfida che va affrontata dal punto di vista culturale e disciplinare».