ALZHEIMER

giovedì 11 Aprile, 2024

L’ex sindaco Fulvio Micheli: «Il dramma di mia moglie con l’Alzheimer. Non mi riconosce più ma si sta innamorando di me per la seconda volta»

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Il racconto del primo cittadino di Canal San Bovo, dalla scoperta della malattia alle cure nella Rsa: «Oggi Nadia è assistita in maniera eccelsa»

Si sono conosciuti quando lei aveva 22 anni. Dal loro amore è nato un figlio e al venticinquesimo anniversario, «le ho fatto una sorpresa: le ho chiesto di sposarmi». Era il 2006, «lavoravamo, viaggiavamo, avevamo una bella vita». Non c’era nulla che faceva immaginare che dieci anni dopo lei, Nadia, ex responsabile amministrativa in Provincia, sarebbe entrata al Centro Alzheimer della residenza sanitaria assistenziale (Rsa) di San Bartolomeo. «La sofferenza più grande è quella di non essere riconosciuti dalla persona che ami. Ma adesso ogni suo piccolo gesto mi trasmette un’emozione fortissima: mi sembra che mi stia innamorando una seconda volta», dice il marito, Fulvio Micheli, ex sindaco di Canal San Bovo, oggi tra i rappresentanti dei familiari degli ospiti della Rsa San Bartolomeo.
Quando avete scoperto la malattia?
«Di rientro da una gita all’estero. Gli amici si sono accorti che Nadia aveva dei problemi di memoria e ci hanno consigliato di fare dei controlli. Avevano ragione. Da quel momento in poi è iniziato un percorso di continue verifiche. Nadia andava ancora al lavoro, io ero già in pensione. La situazione si complicava progressivamente. Quando l’hanno presa in carico per seguire l’evoluzione della malattia, anch’io ho iniziato a notare i segnali: partiva presto la mattina e tornava tardi perché aveva difficoltà a portare avanti il lavoro; sbagliava strada con la macchina; oppure era convinta di aver messo benzina e invece non aveva fatto rifornimento. Tutti piccoli segnali che mi hanno fatto capire che stava succedendo qualcosa. Anche lei capiva che c’era qualcosa che non andava. Poi è stata ricoverata ed è arrivata la conferma con l’analisi del midollo spinale. Si trattava di demenza. Mi hanno spiegato che la malattia poteva evolvere lentamente o avere un’accelerazione. Il passaggio successivo era l’Alzheimer. Mi sembrava impossibile».
Da lì cosa è cambiato?
«Lei ha cominciato ad avere grossi problemi. A casa parlava con gli specchi e iniziava ad avere paura dell’acqua, lei che amava immergersi nei torrenti. Ha cominciato ad avere dei sintomi che mi facevano paura e mi provocavano grande sofferenza. Per lei era vita quotidiana. La situazione evolveva in una cosa tremenda: non accetti che tua moglie, ancora giovane, cominci ad avere questi problemi. L’ho portata dappertutto per cercare di intervenire, a Padova, a Verona, ma mi dicevano tutti la stessa cosa. L’ho portata anche al Cimec di Rovereto, ma anche lì mi hanno detto che non c’era niente da fare. Anzi, mi hanno spronato a rendermi conto che sarebbe diventata una malattia degenerativa e che lei sarebbe stata una donna diversa. Poi Nadia ha smesso di andare al lavoro e di guidare. Tutto questo è avvenuto nel giro di 3-4 anni. Non voleva più lavarsi perché aveva paura dell’acqua e non voleva neanche più togliersi i vestiti. Io ero triste e spaventato. La commissione medica mi ha consigliato di pensare al trasferimento in una struttura. Io ero disperato. Tanti amici mi hanno abbandonato e ho iniziato a sentirmi solo. Poi mi hanno chiamato dal Santa Chiara: si era liberato un posto al Centro Alzheimer a San Bartolomeo. Mi è crollato il mondo addosso. Ho parlato con mio figlio e ho deciso di accettare il trasferimento. Io non sarei stato più in grado di seguirla. È entrata in struttura cinque anni fa, a 60 anni. Qui la seguono in maniera eccelsa».
Qual è la cosa più difficile da accettare?
«Che la persona che ami non ti riconosca più. Nadia era meravigliosa, aveva una dolcezza unica. Oggi ha perso anche la parola e non riesce più a mangiare da sola. Però, ancora oggi, riesce a trasmettermi grandissime emozioni: un sorriso, un bacino, mi tirano su di morale. Sono emozioni indescrivibili. Mi sembra che mi stia innamorando un’altra volta di Nadia, perché è un amore diverso, più forte. Io me la coccolo, la porto a passeggio e due volte a settimana riesco a portarla a casa. Mi sembra che la mia vita non sia proprio distrutta. C’è gente che soffre più di me. Io lo chiamo destino, ognuno ha il suo».
Lei ora è anche rappresentante dei familiari.
«Tra familiari ci aiutiamo a vicenda. E cerchiamo di alleviare la sofferenza degli ospiti. Da poco ho iniziato a raccontare la mia storia anche nelle scuole».