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lunedì 20 Marzo, 2023

La famiglia Cagol: «Margherita uccisa mentre si arrendeva. Amava tanto Renato Curcio e viveva per lui»

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Guido Vigna si recò a casa della famiglia Cagol dopo l'uccisione della brigatista nel giugno 1975, intervistando i genitori e le sorelle Milena e Lucia. Il T lo ripropone come testimonianza del tempo. Il papà: «Se ne è andata, nemmeno una cartolina. Andava a suonare la chitarra per i vecchi al ricovero»

Guido Vigna (Mantova, 1942) ha scritto per molte grandi testate: dal Corriere della Sera al Mondo. Ha lavorato in Rai e pubblicato le biografie di Ezio Vanoni e Pasquale Saraceno. A Trento è conosciuto, tra l’altro, come curatore della BBL, Biblioteca Bruno Lunelli, voluta dal figlio Franco e dal nipote Marcello: migliaia di titoli che hanno come argomento il grande mondo del vino italiano. Nel 1975 Guido Vigna lavorava al «Corriere d’informazione». L’8 giugno, tre giorni dopo la tragica sparatoria della cascina Spiotta, era in via Perini, nella casa dei genitori di Margherita Cagol. Il giorno dopo il quotidiano pubblicò il suo articolo che, oggi – per gentile concessione dell’autore – riproponiamo come documento di quella vicenda, mai chiusa.

Carlo ed Elsa, padre e madre di Margherita Cagol, Milena e Lucia, le sorelle. Sono con loro, nel salotto buono di un appartamento al quarto piano di via Perini 26. Mi hanno fatto entrare sull’eco di una vecchia, dolce, mai dimenticata amicizia. Lucia e Milena mi hanno detto: «Non volevamo vederti come giornalista. Di noi hanno scritto troppo. Noi siamo ai margini della tragedia». Ho risposto: «Voglio fare un ritratto diverso di Margherita. È troppo facile nascondersi dietro l’etichetta di una rivoluzionaria per amore, di un’Anita Garibaldi molto coreografica, ma eterea. Voglio poter dire chi era Margherita». Abbiamo parlato per un’ora e mezzo. Rispettando il loro dolore, non ho preso un appunto. Ma ricordo perfettamente.
Milena: «Tu la conoscevi: era buona, dolce, generosa. Non si poteva non volerle bene».
La madre: «Mi diceva spesso: mamma, ci sono troppe ingiustizie del mondo, la ricchezza deve essere divisa, i poveri non devono più esserci».
Il padre: «Andava a suonare la chitarra per i vecchi del ricovero».
Milena: «Povero papà, questo il colpo finale. Il primo l’ha avuto quando gli hanno parlato del mandato di cattura, poi ieri alla radio ha saputo che era Margherita la ragazza morta sconosciuta».
Lucia: «Là ad Acqui io e Milena abbiamo capito subito che era Margherita. Era bellissima. Lei era la più bella di noi tre. Vedi, aveva un taglietto sul labbro e uno sulla fronte. Poi l’anello della mamma. Ci siamo strette io e Milena. Fuori la gente urlava “assassine assassine”, non hanno avuto pietà. Qui a Trento è diverso, la gente telefona, vuol dire che è vicina al nostro dolore, mandano mazzi di fiori».
Il padre: «Dio me l’ha data, Dio me l’ha tolta. Se ne è andata, non l’ho più rivista, neanche una cartolina, una telefonata. Niente».
La madre: «Renato veniva poco da noi, non parlava molto, era un buon ragazzo, là in Comune dove lavorava mi avevano detto che era uno in gamba».
Lucia: «Io non voglio che esca un ritratto di Margherita tipo romanzo dell’Ottocento. Hanno già scritto tante sciocchezze. Margherita era una ragazza come tutte noi. Buona, allegra, dolce, brava. Lei voleva essere sempre prima in tutto. All’Università 110 e lode, per la musica il primo posto alla chitarra. Però era sempre la prima aiutare noi, ad aiutare gli altri. Anche da piccola. Lei si sacrificava per gli altri».
Milena: «I carabinieri ci hanno chiamate venerdì mattina. No, noi non pensavamo a Margherita. Era bella, morta. Avevo un buco, un buco piccolo qui. Io ho chiesto, come si fa a morire con un buco così piccolo? I medici mi hanno spiegato: la pallottola è entrata, ha spaccato il cuore. Il procuratore mi ha detto: le hanno sparato, mentre si arrendeva, lei aveva le braccia alzate».
La madre: «Era innamorata di Renato. Viveva per Renato. Si erano fidanzati, ma lui veniva poco qui. Lei, tutte le sere, lo andava a prendere. Per strada si tenevano per mano».
Lucia: «Quando andò ad abitare a Milano, non ci diede l’indirizzo. Ma ci vedevamo. Una volta i giornali scrissero che Margherita era stata vista fuggire con due valigie, probabilmente piene di denaro. Glielo chiesi la prima volta che ci vedemmo. Margherita rideva: mi si era rotta la lavatrice, portavo i panni sporchi in lavanderia».
Milena: «Quando ci fu il mandato di cattura, Margherita non si fece più viva qui a casa. Aveva sacrificato anche il suo affetto per noi. Lei era molto attaccata a papà e mamma: non voleva che avessero problemi per colpa sua. Nessun contatto? Non posso rispondere».
Il padre: «Basta, ci lasci stare, Margherita non c’è più. Che senso ha parlarne ancora?»
Lucia: «Io credo che abbia fatto tutto quello che ha fatto per amore. Ma è giusto quello che hanno scritto i giornali? Lei che faceva le rapine? No, io non ci credo. Dicono che ha gettato le bombe: non ci credo. Margherita voleva bene alla gente, difendeva le sue idee».
Milena: «I carabinieri ci hanno dato le sue cose. No, nessun diario, nessuna lettera per noi. Lei ci voleva bene, ma ci lasciava stare, da quando la cercavano. Né lei, né Renato. Si amavano, volevano un figlio. Lei era rimasta incinta. Poi aveva perso quel figlio. Non perso apposta. Margherita aveva una gran voglia di un figlio. Se lo avesse avuto, forse non sarebbe morta. Guarda mamma, ci sono altri mazzi di fiori. Domattina li portiamo a Margherita. Ma presto».