La tragedia

mercoledì 30 Luglio, 2025

I 2922 giorni senza Alba Chiara Baroni, uccisa il 31 luglio 2017. I genitori: «Lo scoprimmo da un post. Rimuovere il nome di Mattia è un modo per assolvere l’intera comunità»

di

«Hanno elogiato Mattia, descritto come un ottimo lavoratore e come volontario dei vigili del fuoco. Di lei si è detto solo che faceva la barista, è rimasta un contorno»

Esattamente 2922 giorni che Alba Chiara Baroni non c’è più. 2922 giorni di assenza, di domande, di memoria. Di dolore. Non il dolore che si racconta con le cifre, con i dettagli morbosi, con le ricostruzioni dei tabulati telefonici. Ma quello che resta sotto pelle, che muta forma e consistenza, che si insinua nel quotidiano, nelle stanze vuote, nei rumori di casa. Quel dolore che i media raramente sanno raccontare presi come sono dalla ricerca del titolo più efficace, dell’emozione da impacchettare, dei like da intercettare. Alba Chiara Baroni è stata uccisa il 31 luglio 2017 a Tenno da Mattia Stanga, il suo ex fidanzato. Aveva 22 anni. Da allora sono passati otto anni, ma quel giorno non è mai finito per chi l’amava. «Il dolore non è diminuito, è aumentato», dice la madre Loredana Magnoni. Ogni rumore, ogni scricchiolio, per mesi, poteva essere lei. Una figlia che torna a casa. Ma Alba Chiara non è mai più tornata. «Io non l’ho vista da morta. Continuavo a credere che potesse tornare. Mi ha aiutata la fede. Ora non ho più paura della morte, ma ho paura per chi resta». Massimo Baroni, suo padre, ha cercato da subito di proteggere sua moglie e la figlia Aurora: «Il dolore attraversa delle fasi, stiamo vivendo sulla nostra pelle questa scala. Ho cercato di proteggerle anche dai rituali. Ma nel mistero funebre ognuno si aspetta che tu segua un copione. E così se non lo fai, dai fastidio».

 

«Lui bravo lavoratore, lei barista»

Un tempo collettivo, quello del lutto, che può diventare giudizio. Il tempo immediatamente successivo al femminicidio è stato segnato da una narrazione mediatica distorta. «Hanno elogiato Mattia, descritto come un ottimo lavoratore e come volontario dei vigili del fuoco. Di Alba Chiara si è detto solo che faceva la barista», racconta Magnoni. Nessuno si è fermato a domandare chi fosse davvero quella giovane donna, quali sogni avesse, quali relazioni costruiva, che presenza era nella vita delle persone. «Hanno raccontato lui. Lei è rimasta un contorno». «Nel mio essere padre ho fatto tanti incubi: ho avuto quel genere di preoccupazioni che hanno tutti i padri, ma mai avrei pensato che la persona con cui stava mia figlia potesse essere un pericolo», prosegue Baroni. Tra i momenti più dolorosi, la proposta – avanzata da più parti – di un funerale congiunto. «Subito dissi no. Non era un incidente: era un femminicidio. I funerali furono distinti, noi a Cologna, lui a Tenno. Mattia era un figlio per me, ma il suo gesto è stato premeditato. Io ero malata e forse non ho visto ciò che avrei potuto vedere come madre» aggiunge Magnoni. Otto anni fa, prosegue Baroni, non avrebbe saputo nominare la parola femminicidio.

 

L’impegno contro la violenza

«Per me il comportamento maschile sulle donne era normale. Catcalling, battute, commenti sull’aspetto: cose che condividevo coi colleghi, come se fossero innocue. Dopo la morte di Alba Chiara ho iniziato a decostruire tutto questo, a fare pensiero, a interrogarmi sulle modalità tossiche che il maschile può agire». Una decostruzione che riguarda anche il linguaggio. «Amore malato», «tragedia inspiegabile»: queste le parole usate da molti media nei primi giorni. «Non era amore. La violenza è il contrario dell’amore. Ma purtroppo spesso ancora oggi si sentono frasi come ‘però le voleva bene, l’amava’. E tutto questo è profondamente sbagliato», riferisce Magnoni. Il problema è strutturale: «Si cerca sempre di umanizzare il carnefice, di giustificarlo, di deresponsabilizzarlo. Si guarda alla sua educazione, ai traumi, alle motivazioni. Così la responsabilità maschile resta sullo sfondo», spiega Baroni. E intanto, il 31 luglio 2017, i genitori di Alba Chiara Baroni scoprivano della morte della figlia da un post su Facebook. «Questo non è giornalismo», affermano.

 

Le omissioni e i silenzi di Tenno

Dopo il femminicidio, il nome di Mattia Stanga è sparito. Come se la sua responsabilità potesse dissolversi con la sua morte. «A Tenno vogliono mettere tutto a tacere. Ma togliersi la vita dopo averla tolta a qualcun altro non può cancellare la responsabilità», racconta Magnoni. «Rimuovere il nome di Mattia dalla narrazione pubblica non è solo un atto di oblio individuale, ma una forma di assolvere implicitamente l’intera comunità che lo ha cresciuto e sostenuto. È come se, dimenticando lui, si volesse cancellare anche la responsabilità collettiva che questa vicenda comporta. In questi anni non c’è mai stata una vera e propria riflessione pubblica, un’interrogazione condivisa che mettesse in discussione il contesto, le dinamiche sociali e culturali che hanno permesso che accadesse un femminicidio. Questo silenzio pesa quanto il gesto stesso», riflette Baroni Massimo.

 

L’associazione e l’impegno

I genitori di Alba Chiara Baroni hanno scelto di restare. E di agire. Hanno fondato l’Associazione Alba Chiara e portano la loro testimonianza nelle scuole. «La guida è lei, Alba Chiara. E tutte le ragazze che non ci sono più. Dopo mia figlia, sono morte almeno altre mille donne per femminicidio. Raccontare la sua storia significa non dimenticarla, ma anche educare al rispetto e alla non violenza». Magnoni aggiunge: «Vogliamo portare una cultura del rispetto, verso le persone. L’amore non è possesso. Si ama, e se non si sta più insieme, si lascia andare». Il dibattito sul femminicidio si è trasformato, ma è ancora incompleto. «Mancano percorsi di educazione affettiva, manca una riflessione collettiva maschile. I giornalisti fanno ancora domande sbagliate, cercano dettagli morbosi. Parlano del numero di coltellate, di quanto sangue c’era. Ma non indagano il problema».

 

«Allora ci hanno evitato tutti»

Baroni ricorda una frase: «Perché Alba Chiara ha lasciato Mattia? Se non lo lasciava, era viva». È la sintesi della responsabilizzazione della vittima. E intanto sui giornali comparivano solo foto di loro due insieme, abbracciati: «Come se fosse una storia d’amore». Otto anni dopo, qualcosa è cambiato. «Allora ci hanno evitato tutti. Oggi invece ci sono persone che ci riconoscono, che ci danno un abbraccio, che ci chiedono aiuto», spiega Magnoni. «Una parola può cambiare tanto». «Oggi si parla più spesso di femminicidio, anche le vittime hanno voce. Ma spesso nei convegni ci sono solo uomini. Anche quando parlano donne, si tende a non riconoscerne l’autorevolezza. Come se anche su questo tema, il dolore avesse bisogno di una voce maschile per essere creduto» conclude Baroni. È urgente tornare a scegliere con cura le parole, a raccontare con consapevolezza. La violenza maschile sulle donne non è un episodio isolato, ma un problema strutturale che riguarda innanzitutto gli uomini e la società intera. Serve una risposta che non coincida con pene più severe, ma che investa con decisione nella prevenzione, nell’educazione al rispetto e nell’ascolto. È compito di tutti e tutte, e in particolare delle istituzioni, riconoscere questa urgenza e agire concretamente perché ogni femminicidio è una ferita che non si rimargina da sola. 2922 giorni che Alba Chiara Baroni non c’è più. Il tempo è passato, ma la responsabilità di raccontare la verità con rispetto e umanità è ancora tutta da assumere.