L'INTERVISTA

domenica 21 Aprile, 2024

Ha chiuso la via più difficile d’Italia, Stefano Ghisolfi: «Ho trovato la felicità scalando Excalibur. Prossima fermata? Le Olimpiadi di Parigi»

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È tra i migliori arrampicatori del mondo, ed ora l’impresa a Drena è diventata un documentario che sarà presentato al Trento Film Festival

Chi frequenta il Trento Film Festival lo sa: gli arrampicatori sono una strana specie. Dove gli altri vedono un ostacolo, loro trovano un passaggio. Dove le persone vedono un rischio, gli scalatori trovano un’opportunità. È così anche per Stefano Ghisolfi, uno dei migliori arrampicatori al mondo. Originario di Torino Ghisolfi da tempo ha fatto di Arco casa sua, e proprio in zona, a Drena, ha recentemente chiuso Excalibur. Una linea strapiombante tanto difficile quanto perfetta e che con il grado di difficoltà 9b+ è attualmente la via più difficile d’Italia e una delle più complicate al mondo. Questa impresa è diventata un documentario, «Excalibur», che sarà presentato al Trento Film Festival. Chissà, magari Ghisolfi seguirà le orme di altri grandi arrampicatori, come Tommy Caldwell, premiati a Trento per le loro imprese. Lui intanto non ci pensa e guarda già al prossimo obiettivo: le olimpiadi di Parigi.
Ghisolfi, com’è nata l’idea di Excalibur come via di arrampicata?
«L’idea non è nata in realtà da me ma da due miei amici, Christian Dorigatti e Moris Fontanari, che sono due boulderisti e stavano sviluppando l’area blocchi in quella zona di Drena. Hanno chiodato questo masso pensando di riuscire a salirlo, rendendosi solo dopo conto che per loro era impossibile e che forse era impossibile in generale. Sono stati loro a chiedermi un opinione e di venirla a provare perché si trattava di una linea bellissima, immersa in un paesaggio spettacolare con una roccia davvero bella. Bisognava capire se era possibile scalare quella via. Sono andato a provarla e il nome della via mi è venuta perché sotto quel masso c’è una spada di metallo conficcata in un’incudine che fa parte della Open art gallery che c’è nel bosco di Drena. Appena arrivato e vista la scena ho pensato proprio ad Excalibur, anche perché rappresentava perfettamente la sfida impossibile che avevamo davanti».
E quella del documentario?
«L’idea del documentario è nata durante e dopo i tentativi di aprire la via. I ragazzi di Clean Films già mi seguivano per dei video su youtube e abbiamo capito che per Excalibur serviva un’opera più lunga che restituisse la difficoltà della via e l’impegno di tutta la squadra per riuscirci».
Quali sono state le difficoltà tecniche di questa via?
«Tecnicamente è una via molto difficile, innanzitutto perché è a strapiombo di circa 40 gradi. Ha anche la particolarità di essere corta rispetto ad altre vie di questa difficoltà, di solito le vie di questa difficoltà sono lunghe dai 40 ai 50 metri, questa invece è di circa 15 metri. Quindi ogni movimento è estremamente difficile, provandola all’inizio ogni movimento sembrava impossibile. Può essere divisa in due sezioni, c’è chi ha trovato più difficile la seconda, ma io personalmente ho fatto più fatica con la prima. In mezzo ci sono due prese un po’ più comode che permettono di riposare un po’ staccando un braccio alla volta, ma in totale è una via davvero complicata».
Quanto conta la preparazione fisica, quanto quella mentale e quanto lo studio della via per portare a compimento un progetto del genere?
«La preparazione fisica e mentale contano secondo me in egual modo. Mi sono allenato in maniera specifica per questa via, facendo anche esercizi diversi da quelli a cui sono abituato, proprio per la sua intensità e la sua lunghezza ridotta. Ho dovuto fare molti boulder e allenamenti di forza, rispetto che di resistenza. La parte mentale è molto importante su una via così per cercare di non complicarsi il lavoro, non arrendersi nei momenti di difficoltà quando sembra più facile mollare, invece che tenere duro e affrontare le difficoltà e il dolore. Contando che c’è voluto un anno a chiuderla, la parte mentale forse è stata quella più impegnativa alla fine».
Qualcuno dei suoi amici arrampicatori ha già provato a ripetere excalibur?
«Sì, questa via ha attirato subito l’attenzione di molti scalatori internazionali. Il primo è stato Adam Ondra che è venuto a provarla con me all’inizio prima ancora che la facesse, e anche Will Bosi uno dei boulderisti più forti al mondo. So che l’hanno provata anche tanti altri. Anche Laura Rogora e Giovanni Placci, ma per ora nessuno è riuscito a ripeterla, quello che c’è andato più vicino è stato Will Bosi. Questo anche fa capire la difficoltà della via, perché stiamo parlando dei migliori scalatori al mondo».
Quando si riesce a «chiudere» un progetto di questo tipo che emozione rimane?
«Riuscire a chiudere questo progetto è stata un’emozione grandissima. Credo sia la via a cui tenevo di più e la più difficile che sono riuscito a salire, quindi la soddisfazione sicuramente è la prima emozione che mi viene in mente. Poi un senso di liberazione che arriva dalla frustrazione provata dopo ogni fallimento. Mi sono sentito felice e libero di andare avanti e trovare nuovi progetti. Poi il fatto che sia una via di casa mi aveva fatto affezionare molto a Excalibur, sono contento di aver lasciato un segno qui».
Arco è diventato il suo territorio di elezione per l’arrampicata, ma anche quello di tantissimi altri grandi di questo sport, cosa lo rende speciale?
«Arco sta diventando grazie a me, Adam Ondra e scalatori e chiodatori uno dei centri più importanti d’Europa e del mondo per l’arrampicata su roccia. Sicuramente di alto livello, perché abbiamo liberato vie estremamente difficili, ma anche per tutti i livelli. Ad Arco arrivano dall’amatore al professionista e la cosa più bella è proprio la varietà che c’è nelle falesie, nelle vie e negli stili, è difficile trovare così tante varietà in altri luoghi, mentre qui ti sposti di 5 o 10 minuti e trovi falesie completamente diverse. Da mari di calcare a canne, a vie molto corte e intense, vie di buchi, ci sono le caratteristiche per ogni persona e gusto».
Quest’anno a Parigi ci saranno le Olimpiadi, rispetto a quattro anni fa le gare di arrampicata raddoppiano: speed da una parte e combinata (boulder e lead) dall’altra, segno di una considerazione sempre maggiore per questo sport?
«Si, è un segno che l’arrampicata stia prendendo piede e importanza tanto da avere più medaglie a disposizione. Sta crescendo molto come sport, lo vediamo anche dalla crescita delle palestre. Ad Arco arriva il centro federale per la nazionale. Si sta investendo tanto, perché è uno sport che piace e che diventa anche cittadino grazie alle palestre. Questo chi organizza le Olimpiadi lo ha capito e le sta dando la giusta importanza».
Che sensazioni ha? Qual è il suo obiettivo?
«Il mio obiettivo è quello di qualificarmi intanto. Sono speranzoso, ci saranno due gare di qualifica: una a Shanghai a maggio e una a Budapest a giugno. So che sarà difficile, perché gli avversari sono tanti e forti, però ce la metterò tutta».