L'INTERVISTA

venerdì 29 Novembre, 2024

Giuseppe Cruciani, dalla Zanzara a Trento con la sua «Via Crux»: «Grazie a Trump non censuriamo il linguaggio»

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Una delle voci più scomode d'Italia andrà in scena oggi all’Auditorium Santa Chiara: «Vorrei incontrare quegli studenti che hanno impedito ai loro colleghi di parlare all’università di Trento»

Il mondo al contrario, l’acqua che scorre dal basso verso l’alto, il normale che diventa anormale. La battaglia di Giuseppe Cruciani, conduttore de «La Zanzara», lo show radiofonico più seguito d’Italia, contro il politicamente corretto sbarca a Trento. Lo spettacolo «Via Crux» si svolgerà domenica 1° dicembre, all’Auditorium Santa Chiara, dove una delle voci più scomode d’Italia spiegherà il suo manifesto programmatico, le sue idee contro il perbenismo e tutte le sue manifestazioni, dai vegani alla comunità LGBQ+, e tutto ciò che la cancel culture impone.
«Via Crux. Contro il politicamente corretto». Il titolo del suo spettacolo è già piuttosto eloquente, ma nel dettaglio cosa dovrà aspettarsi il pubblico trentino.
«È il manifesto del mio pensiero ultra-libertario sui tempi che stiamo attraversando. La vittoria di Trump ci ha dato un po’ di speranza sul free speech, sulla libertà di pensiero, perché altrimenti saremmo stati davvero nei guai. Quello che è avvenuto in America, nelle università in generale e nel mondo dell’informazione mainstream, è la repressione del pensiero eretico. L’impossibilità di pronunciare alcune parole, la censura del linguaggio, le quote nere, rosa e quelle woke. La cultura woke ha praticamente permeato le aziende e il mondo universitario, dove si trasmette la cultura e si formano i giovani. È una situazione ancora drammatica, e se ne vedono tracce ovunque, in Italia come in Gran Bretagna. Basti pensare all’università italiana, come l’Università di Trento, che ha creato questa cosa ridicola del femminile sovraesteso. È la dimostrazione pratica di come il politicamente corretto sia arrivato ai vertici del mondo culturale. Questo spettacolo è una ribellione contro questo tipo di deriva della società occidentale: una società ricca, piena di persone con moltissimo tempo libero, che si dedicano a delle minchiate».
Nel suo libro ha spiegato che le parole hanno un significato offensivo solo se siamo noi a decidere di attribuirglielo. Alla fine, ciò che conta è l’intenzione. Secondo lei, c’è oggi un eccessivo senso di serietà nella società? Non siamo più capaci di accettare l’ironia, né di ridere delle nostre caratteristiche?
«Proprio così. Non sappiamo più prenderci alla leggera. Ci prendiamo troppo sul serio, sezioniamo le parole, le giudichiamo, le demonizziamo. Addirittura portiamo in tribunale le parole! Questa è una deriva evidente della società occidentale. È ridicolo pensare che un tribunale possa decidere se una parola può o non può essere detta. Nel mio libro racconto un episodio emblematico: un leghista è stato condannato perché ha detto che l’Arcigay vuole portare la cultura finocchista nelle scuole. Ora, questa frase può far ridere o essere contestata, ma non dovrebbe mai finire in tribunale. Portare le parole in tribunale è una pratica patetica, tipica degli ultimi trent’anni. È uno spreco di tempo e di denaro, e non ha nulla a che fare con l’inclusione. E poi, che cos’è davvero l’inclusione? È una parola vuota ma che tutti usano con grande enfasi. Questa è la parola chiave della società occidentale di oggi. In suo nome accettiamo cose ridicole, come l’uso del femminile sovraesteso, i plurali neutri, gli asterischi, la schwa, o la proliferazione infinita di generi. Ormai, in certi questionari, oltre a maschio e femmina, trovi una quarantina di opzioni diverse. È qualcosa di completamente insensato».
A proposito di inclusività e di libertà di parola, come commenta i fatti che hanno coinvolto recentemente l’Università di Trento? Mi riferisco al picchetto organizzato davanti alla facoltà di Sociologia contro gli studenti di Azione Universitaria in occasione delle elezioni.
«Spero che entrambe le fazioni vengano al mio spettacolo. Voglio guardare in faccia coloro che hanno impedito ad altri studenti, pacifici e con idee diverse, di accedere all’università e distribuire volantini. Voglio vederli di persona, studenti che si definiscono democratici ma che impediscono agli altri di esprimere le proprie idee. I veri fascisti sono loro, i veri intolleranti sono loro. Devono capire cosa sono i valori, cosa significa davvero democrazia, della quale hanno un’idea distorta. Credono che significhi escludere chi la pensa diversamente da loro. Democrazia vuol dire dialogare anche con chi è lontano anni luce dalle tue posizioni. Forse però questi ragazzi non hanno chiaro cosa significhi essere all’università. Se sono davvero studenti universitari, allora non hanno capito nulla. Impedire il confronto è un fallimento, preferiscono rifugiarsi in questa loro caserma ideologica. Mi chiedo, se fosse stato il contrario – se cioè i ragazzi di Azione Universitaria avessero impedito agli studenti di Sociologia di fare volantinaggio – cosa sarebbe successo? Come avrebbero reagito le autorità e i media?».
Spostiamoci sul lato politico. Cosa ne pensa del fatto che la questione della guerra in Medioriente sia così sentita nelle università italiane?
«Le università italiane sono sempre state considerate la culla e il presidio delle organizzazioni di estrema sinistra. In un paradossale ribaltamento dei ruoli, queste organizzazioni, invece di difendere i valori democratici e i diritti fondamentali, si schierano spesso in una visione distorta di lotta contro il capitalismo e l’oppressione. Un esempio emblematico è il sostegno alle cause palestinesi, che viene interpretato come una trasposizione moderna delle battaglie degli anni Settanta: il popolo oppresso contro il gigante capitalista, in questo caso Israele, descritto come brutto, cattivo e colonialista. La verità è che ci troviamo di fronte a un fenomeno di terrorismo, mirato a distruggere uno stato democratico. Israele è una democrazia dove esiste un dibattito aperto sui diritti, comprese le minoranze. Dall’altra parte, invece, ci sono realtà sostanzialmente totalitarie, dove i diritti delle minoranze non sono garantiti e il dissenso non è tollerato. Certo, errori vengono commessi da entrambe le parti, e le tragedie non mancano, ma il punto centrale resta il confronto tra un sistema democratico e regimi totalitari. Purtroppo, questa visione fatica a farsi strada nelle università, ancora permeate dall’influenza dei gruppi più militanti».
Ci sarà anche un po’ di «Zanzara» nello spettacolo?
«Assolutamente sì, anche se il ritmo non potrà essere quello “zanzaresco”, perché siamo in teatro e il contesto è diverso. Tuttavia, lo spirito della Zanzara sarà ben presente. Ci sarà, ad esempio, un’apparizione di Parenzo in una versione un po’ particolare – ovviamente non in carne e ossa – anche se è capitato che fosse presente come pubblico in un paio di uscite teatrali. L’atmosfera, però, sarà certamente “zanzaresca”. Alcuni dei personaggi più amati dagli ascoltatori della Zanzara troveranno spazio nello spettacolo, non fisicamente sul palco, ma come presenza significativa. In un certo senso, tutto lo spettacolo ha il DNA della Zanzara: lo spirito con cui vengono affrontati i temi è simile, anche se qui c’è spazio per ragionamenti più approfonditi. Non si tratta solo di intrattenimento, ma anche di sostanza. Lo spettacolo vuole essere una battaglia di idee contro il politicamente corretto, un momento per stimolare riflessioni e per portare avanti una sfida ideologica».