Fotografia
giovedì 15 Dicembre, 2022
di Leonardo Omezzolli
Amir è un uomo iraniano in cerca di asilo politico, fuggito dal proprio paese natio dopo essere stato perseguitato, incarcerato e torturato perché appartenente alla minoranza religiosa Sufi dei Gonabadi Dervishes. Azizullah è un ragazzo afgano fuggito a causa dei talebani. È alla ricerca di sicurezza e insegue il sogno di diventare giornalista. Kako viene dall’Afghanistan. Mazhar dal Pakistan. Hanno tutti tentato il «game», il gioco della sorte, il gioco della vita, per oltrepassare il confine, per entrare in Europa attraverso la rotta dei Balcani passando dalla Bosnia-Herzegovina. Un gioco che non hanno ancora vinto, respinti al confine, costretti a rimanere senza futuro nei campi profughi o negli squat, case e fabbriche abbandonate, in condizioni igienico sanitarie pessime. Le loro storie e i loro volti sono il tema principale della mostra «Finding Home», della fotografa Chiara Fabbro, esposta a partire da venerdì 16 dicembre nelle sale di Torre Mirana a Trento (via Belenzani,3) e visibile fino al 1° gennaio 2023 giornata mondiale della pace. La fotografa udinese porta a Trento, nell’ambito della campagna «Cambiamo rotta!», lanciata dalla Diocesi di Trento, Ipsia, Acli, Atas, Cnca, Movimento dei focolari, Forum trentino per la pace e Osservatorio Balcani Caucaso, un reportage che vuole mettere in luce le conseguenze dirette e indirette delle politiche di confine. «Sono stata in Bosnia da febbraio a marzo del 2021 per vedere con i miei occhi cosa stesse succedendo alle porte di Udine, la mia città natale – racconta Fabbro –. Ho fotografato le loro condizioni fisiche, i luoghi della loro quotidianità e ho raccolto i loro racconti». La mostra fotografica è una selezione di 25 scatti stampati su forex accompagnati da una didascalia che riassume le narrazioni umane che si nascondono dietro i volti dei migranti. «L’obiettivo è quello di rompere quella cortina di ferro che separa il mondo occidentale da queste tragedie umane – spiega Fabbro –. Spingere le persone a empatizzare, a chiedersi cosa si possa provare ad essere nelle loro condizioni». Tanti volti, infinite le storie e le tragedie che il «game» porta con sé. Uomini, donne e bambini che si frangono contro il muro delle politiche internazionali, che sono costretti ad andare oltre il legale per raggiungere un traguardo, banale, spesso scontato, la libertà di vivere la propria vita. «Sono molto legata ad alcune di queste storie – confida la fotografa –. Amir lo vedete in carrozzina, ma lui era fuggito sulle sue gambe. Nel “game”, di notte, al buio, senza una guida è caduto nel vuoto mentre cercava di entrare in Croazia. Lì si è ferito gravemente, portato in un ospedale croato per le cure è poi stato rimandato in Bosnia, abbandonato nel nulla, privato dei propri averi con in dono l’impossibilità di camminare». Sono a centinaia le pedine umane che a tutti i giorni cercano di varcare la soglia della libertà sognata. I numeri parlano chiaro: pochi la spuntano, molti sono costretti a tornare negli squat. Kako non ha più soldi e beni di valore, non può permettersi di pagare i passeur, coloro conducono i migranti verso le rotte di confine e li aiutano ad attraversarli. Insieme a due amici continua a tentare il «game» senza l’aiuto di una guida. Insiste da più di un anno senza successo, venendo respinto 17 volte. È stato in Bosnia per oltre un anno e racconta di essere stato respinto 17 volte. Storie di speranza che tentenna, che trova la forza della perseveranza nella disperata necessità di una vita dignitosa e di un futuro migliore. Chiara Fabbro, da anni impegnata nel mondo del volontariato ha seguito e segue con dedizione e passione le diverse rotte dei migranti raccogliendo le testimonianze di chi è alla ricerca di un domani migliore. Vive a Londra, laureata con un dottorato di ricerca in scienze farmaceutiche, ha abbandonato il ruolo di ricercatrice per inseguire un sogno nuovo, quello di divulgare le migrazioni, da quelle mediterranee verso le coste greche e turche a quelle che dall’Africa occidentale puntano alle isole Canarie, fino alle più recenti nel canale della manica. «Con queste fotografie – conclude Fabbro – il nostro sguardo va oltre la retorica del migrante illegale».