L'Intervista
sabato 10 Dicembre, 2022
di Marika Damaggio
Autofinanziamento, quindi capacità di emanciparsi dalle risorse provinciali; collegamenti industriali di qualità; sguardo volto all’Europa e coraggio di spingersi oltre, cercando di anticipare fenomeni oggi acerbi ma domani maturi. È in queste mosse che s’è declinata, in nove anni, la presidenza di Francesco Profumo. La Fondazione Bruno Kessler, reduce da un sessantennale che è stato occasione per tracciare un bilancio di ciò che è stato, oggi si assicura il 50% delle entrate da bandi europei e commesse industriali (la mano di Piazza Dante, prima del 2014, pesava per oltre il 70%). Ora la corsa al Piano nazionale di ripresa e resilienza porterà a Fbk un tesoretto di 40 milioni e saranno reclutati 30 ricercatori. Per governare il passaggio, Profumo ha irrobustito la struttura amministrativa creando un ufficio di monitoraggio e vigilanza. Ora, però, all’orizzonte c’è la fine del suo mandato. Un passaggio dolente che l’ex ministro, oggi presidente della Compagnia di San Paolo, accoglie col sorriso («La riorganizzazione che abbiamo definito sarà resiliente») assicurando di lasciare a Povo qualche consegna. Una su tutte: assumere un profilo internazionale, inserendosi nello European Digital Infrastructure Consortium, il nuovo consorzio promosso da Strasburgo lo scorso luglio per implementare la transizione digitale e consentire ai grandi centri di ricerca europei di incidere a livello mondiale, dentro e fuori dai confini continentali. Quanto ai segmenti di scientifici da presidiare, Profumo lascia una ispirazione: «La transizione industriale – dice – è un tema centrale».
Professore, a febbraio si chiude il suo secondo mandato alla guida di Fbk. Qual è, su tutti, il risultato più significativo che ricorda?
«Il punto di partenza al tempo del mio arrivo era già molto buono: la Fondazione negli anni aveva investito soprattutto in alcuni settori e i risultati, sia dal punto di vista scientifico sia delle relazioni con Europa e aziende erano buoni. Credo che la trasformazione messa in atto si sia sviluppata a partire dall’organizzazione, con un irrobustimento della struttura, rendendola moderna. E superando ciò che, specie negli anni Novanta, era stato il mantra: ossia creare un grosso dipartimento unico dedicato all’Ict (le tecnologie per l’informazione e la comunicazione, ndr). Sulla spinta anche delle istanze dell’Europa abbiamo invece definito un piano strategico coraggioso e di ampio respiro».
Il piano strategico ha infatti valenza decennale, fino al 2028. E con quali presupposti l’ha costruito?
«Pensando alla pianificazione europea 2021-2027 mi pareva giusto assegnare la medesima dimensione, per dare un forte riferimento. Ecco, allora, che abbiamo scomposto il centro sull’Ict in cinque centri: sicurezza informatica, società digitale, salute e benessere, industria digitale ed energia sostenibile. E, devo dire, pensando al centro per le emergenze sanitarie siamo stati lungimiranti. Ma allo stesso modo abbiamo avviato un centro sulle rinnovabili e sulle tecnologie connesse, trovandoci in linea con il lancio della presidente dell’Ue, Ursula von der Leyen, delle tre transizioni da presidiare: quella ecologica, quella digitale e quella legata alla resilienza sociale. Ecco: noi, in fondo, avevamo una piattaforma che era già allineata a tali istanze. Non solo: abbiamo sin dal principio connesso quei temi, perché sono profondamente collegati. Anticipare questi fenomeni ci ha consentito di essere veloci e rapidi nel fare delle valutazioni. La Fondazione è così diventata sempre più “glocal”, ossia capace di mantenere rapporti col territorio e interpretandone i bisogni, ma dall’altra assumendo valenza globale con progetti di valenza europea».
Lei ha da subito insistito sull’urgenza di diversificare i finanziamenti e fra bandi di interesse internazionale e commesse industriali il salto c’è stato. Quali sono gli ordini di grandezza?
«Questa è una strategia che metto in atto in qualsiasi impegno che affronto. Si deve sempre diversificare prima che sia necessario farlo, perché quando diventa un bisogno è tardi. Lo si fa nella finanza, lo si fa nell’offerta formativa e lo si fa nella ricerca. E in questo caso diversificare significava pensare che la Provincia è il fondatore di Fbk ma esistono anche agenzie di finanziamento della ricerca, primariamente la Commissione europea, ed esistono le imprese. Oggi abbiamo delle proiezioni pre-Pnrr e le cose cambieranno, ma siamo arrivati a un 50% di finanziamento della Provincia e l’altro 50% assegnato fra risorse europee e imprese».
Metà e metà, dunque. E dieci anni fa?
«Le risorse della Provincia oscillavano fra il 70 e il 75%. Ora, come detto, è il momento del Pnrr che porta investimenti importanti e va colto come un’opportunità, ma per realizzare progetti che siano anche sostenibili nel tempo».
A proposito di Pnrr: quali sono i progetti maggiormente rilevanti per Fbk?
«Abbiamo giocato un ruolo maggiormente rilevante sul capitolo dei partenariati estesi e sul tema dei centri per l’innovazione, nei temi in cui siamo più strutturati: intelligenza artificiale, Quantum Technology e Digital Society. La partita non è ancora conclusa ma parliamo di circa 40 milioni su cinque anni. Tanti soldi, se pensiamo al bilancio di circa 55 milioni all’anno. Ci siamo organizzati anche per gestire l’operazione: abbiamo creato una struttura di monitoraggio a livello amministrativo che vigili con report mensili e prevedendo una rendicontazione semestrale. Abbiamo quindi cercato di strutturare la Fondazione dal punto di vista organizzativo. Non solo: abbiamo attivato un fondo di garanzia perché ci sono incertezze nel caso in cui il finanziamento venga interrotto o non arrivi».
Quanti ricercatori e ricercatrici assumerete?
«Una parte delle risorse sono rivolte a reclutare personale o stabilizzare figure già presenti, necessarie per lo sviluppo dei progetti. Siamo nell’ordine di 20 o 30 persone».
Ha citato la riorganizzazione del 2020 con cui ha lanciato una nuova geografia di centri. C’è chi teme che, dopo di lei, questa intuizione possa essere ritoccata. La preoccupa?
«I risultati ottenuti post riorganizzazione in tema di Pnrr e in termini di competizione internazionale hanno dimostrato la coerenza con una missione moderna della Fondazione. Ci sono dunque le condizioni affinché sia conservata».
Il sistema della ricerca del Trentino non sempre collabora serenamente. Tra Fondazione Edmund Mach e ateneo oggi i rapporti sono freddi. Hit era nata anche per questo. Ma come si costruisce una reale congiunzione?
«Il Trentino ha la dimensione giusta per essere un laboratorio d’avanguardia e i soggetti della ricerca devono avere una strategia comune, il Pnrr l’ha dimostrato: abbiamo avuto successo con la partecipazione multipla. Dico, allora, che si può rinunciare a un po’ di sovranità perché tanti microcosmi possono convivere».
Quanto al futuro di Fbk, come se lo immagina? Fernando Guarino suggeriva di porre Fbk sotto la vigilanza del Miur.
«Penso che sia il momento di guardare con interesse allo European Digital Infrastructure Consortium (Edit) promosso a luglio dal Parlamento europeo. Si tratta di inserirsi in una preziosa infrastruttura europea che competa anche fuori dall’Europa».
E su quali nuove aree di ricerca vale la pena insistere in futuro?
«Servono antenne per anticipare i fenomeni e ora ci avviamo verso una nuova transizione industriale che è digitale e culturale insieme. Questo è un tema centrale»
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