Cronaca

giovedì 17 Novembre, 2022

«Ero un baby spacciatore, adesso faccio il cuoco». La storia di Sharif dalla Guinea fino al Trentino

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La fuga dal suo paese, l'arrivo a Trento, la microcriminalità al quartiere le Albere, poi l'arresto e infine il riscatto

Sharif, ragazzo proveniente dalla Guinea ha fatto parte di una banda di baby spacciatori attiva soprattutto alle Albere. Ha attraversato il suo periodo buio a Trento. Lo hanno preso. Ha avuto problemi con la giustizia ma è riuscito a tirarsene fuori e a rilanciarsi ed ora lavora come responsabile della cucina in un bar a Trento: «Sono stato arrestato al parco delle Albere perché ho commesso reati legati allo spaccio. Finito il percorso di messa alla prova ho potuto ricominciare da capo ed ora sono responsabile della cucina in un bar vicino alle Albere», fatalità del caso.
La testimonianza di Sharif, ragazzo di 22 anni è stata accolta durante l’incontro «Mettiamoci alla prova» organizzato da «Dalla Viva Voce» presso la Sala conferenze della Fondazione Caritro a Trento.
L’incontro nasce dalla volontà di provare a sviscerare una questione scottante come quella della criminalità di stampo minorile al quale hanno preso parte anche Giuseppe Spadaro, presidente del Tribunale dei minori di Trento, e Antonella Maria Valenza, assistente sociale presso USSM Trento. L’obiettivo non è quello di stigmatizzare in maniera passiva questi comportamenti ma piuttosto proporre un punto di vista alternativo per spiegarne le ragioni che li spingono a fare ciò ed aiutarli a uscire da questi periodi difficili, come ci insegna la storia di Sharif.
Sharif ha intrapreso un viaggio tortuoso alla ricerca di una vita nuova che lo ha portato dalla Guinea fino Trento. In Guinea ha lasciato la sua famiglia, o quello che restava di essa. I suoi genitori sono morti qualche anno fa, probabilmente di ebola, e il suo fratellino, all’epoca non in grado di arrangiarsi da solo, è andato a vivere dalla zia mentre lui è partito con l’obiettivo di trovare una nuova vita. Il fratello è ciò che più caro gli è rimasto e il suo desiderio più grande è «ritornare a vivere insieme a lui». Non è mai riuscito a vederlo da quando è arrivato in Italia, ciò è avvenuto solo per la prima volta quest’estate, quando «sono riuscito, finalmente, ad andarlo a trovare».
Arrivato a Trento, è stato inserito nella Residenza Fersina, dove ha saputo la sua vera età, prima a lui ignota. Una scoperta la minore età è stato mandato a Rovereto, all’Hotel Quercia, dove passava la maggior parte del suo tempo a giocare e calcio e al parco. È stato colto a delinquere alle Albere assieme ad un gruppo di altri ragazzi e lo ha preso in carico l’ufficio giustizia riparativa di Trento. Ha poi intrapreso il percorso di messa alla prova e, una volta concluso, ha potuto iniziare una nuova vita in. «Ho commesso reati legati allo spaccio e per questo sono stato arrestato», dice, ma col tempo si è reso conto dell’errore commesso e ha voluto rimediare. «Non volevo più incontrare quelle persone, non volevo più stare nei parchi. È stato un percorso molto difficile per me».
A 18 anni è stato mandato a Villa Rizzi, dove aiutava in cucina, quella che poi è diventata la sua grande passione. «Cucinare mi fa stare bene, mi ricorda la mia mamma. Le facevo compagnia mentre cucinava». È stato anche alla Comunità Murialdo, lavorando nella produzione di Sali e creme naturali. Adesso si è sistemato ed è diventato responsabile della cucina in un bar vicino alle Albere. «Ho un contratto di apprendistato di tre anni, mi trovo bene con i colleghi e mi piace molto». Il suo obiettivo ora è finire la scuola, gli manca un anno per terminare l’istituto alberghiero «ma con il lavoro è abbastanza complicato». Sharif ama il teatro, ha già fatto un anno di corso di recitazione e una volta finito il suo percorso d’istruzione desidera più di ogni altra cosa tornare a recitare. «Voglio imparare a recitare per mettere in scena la mia storia, per me e per tutti gli altri ragazzi nella mia vecchia situazione perché in africa, i nostri governi, non sono presenti». Vuole, con le sue parole, «essere la loro voce».