L'intervista
lunedì 7 Luglio, 2025
È trentino il primo laureato in Ai e filosofia a Milano. «ChatGpt? Il problema è chi lo utilizza male»
di Daniele Erler
Tommaso Zendron, di Lavis, oggi corregge gli algoritmi. «Serve capire come funziona l’intelligenza artificiale per poterla sfruttare al meglio»

«Dobbiamo imparare a usare l’intelligenza artificiale: non ci toglierà il lavoro, ma ce lo cambierà parecchio». C’è anche un ragazzo di Lavis tra i primi tre laureati in un nuovo corso dell’Università Statale di Milano dedicato all’intelligenza artificiale. Si chiama Tommaso Zendron, ha 23 anni, e ha ottenuto la lode con una tesi che unisce logica e innovazione tecnologica.
Partito da un piccolo paese del Trentino, è stato tra i primi in Italia a specializzarsi in uno dei settori più attuali, mantenendo però al centro una visione precisa: l’intelligenza artificiale deve restare uno strumento al servizio dell’uomo. Il problema è semmai stare al passo con l’innovazione, sfruttandone tutte le potenzialità.
Tommaso, qual è stato il suo percorso?
«Sono di Lavis e ho frequentato il liceo classico Prati a Trento. Poi mi sono trasferito a Milano per studiare filosofia. Durante la triennale ho fatto un Erasmus in Germania. Dopo la laurea ho scelto di proseguire con la magistrale in Human-Centered Artificial Intelligence, un corso interateneo in lingua inglese che unisce l’Università Bicocca di Milano e quella di Pavia. L’ultimo semestre l’ho passato di nuovo in Germania, dove ho lavorato alla tesi».
Com’è arrivato all’intelligenza artificiale partendo dalla filosofia?
«Mi ha sempre appassionato la parte logica e analitica della filosofia, forse anche più di quella etica. Sono interessato alla filosofia del linguaggio, a come si struttura il ragionamento. Il corso che ho seguito mette insieme più approcci: non è un percorso tecnico-informatico in senso stretto, ma un programma interdisciplinare che integra psicologia, etica e diritto. L’idea comune è la stessa: mettere l’uomo al centro. L’intelligenza artificiale non deve sostituirci, ma ampliare le nostre potenzialità».
Puoi spiegare in parole semplici il contenuto della tua tesi?
«Mi sono occupato di individuare e correggere errori all’interno delle cosiddette basi di conoscenza, che sono rappresentazioni strutturate delle informazioni usate dai sistemi di intelligenza artificiale per ragionare. Non si tratta di modelli linguistici come ChatGpt, ma di un ambito più logico. L’obiettivo è rendere questi sistemi più affidabili, partendo dal modo in cui sono costruite le loro “conoscenze”».
Qual è la differenza tra questo approccio e quello dei modelli generativi?
«Si tratta di due strade diverse. Il machine learning lavora con algoritmi che “apprendono” dai dati. Il mio campo si basa invece su regole logiche esplicite: si cercano errori nel ragionamento dei sistemi e si lavora per correggerli. È un ambito forse meno noto, ma molto importante per applicazioni che richiedono coerenza e trasparenza».
Quali sono gli sbocchi concreti di quello che ha studiato?
«Il corso è nato proprio per rispondere a un’esigenza del mercato. Le aziende hanno iniziato a usare l’intelligenza artificiale in modo sempre più diffuso, ma accanto alle figure più tecniche servono anche professionisti capaci di comprenderne l’impatto pratico e le implicazioni. Ad esempio, ho fatto esami di psicologia cognitiva per capire come l’utente percepisce l’interazione con l’intelligenza artificiale. È fondamentale migliorare questa percezione, anche perché oggi le applicazioni disponibili sono molto più varie rispetto al passato e il loro impatto sociale può essere enorme. Senza dimenticare, naturalmente, le questioni etiche».
E da questo punto di vista, secondo lei siamo pronti?
«La differenza vera la fa la consapevolezza. Serve capire come funziona l’intelligenza artificiale per poterla sfruttare al meglio. È uno strumento che può estendere le capacità umane, ma non conosce tutto, e non può fare tutto. Un tempo ci si spostava a piedi, poi si è passati alla bicicletta e infine alla macchina: nessuno tornerebbe indietro, ma serve imparare a usare questi strumenti. È lo stesso con l’intelligenza artificiale. I benefici sono enormi, ma bisogna conoscere anche i rischi, e imparare a gestirli».
Però c’è persino chi usa ChatGpt come se fosse uno psicologo.
«Ci sono ricerche contrastanti a riguardo, ma è chiaro che un algoritmo non può sostituire l’approccio terapeutico umano. Ma il problema non è tanto dello strumento in sé, ma di chi lo utilizza in maniera sbagliata».
Quanto è importante la formazione, partendo già dalle scuole?
«Credo sia fondamentale. Sono stato invitato in alcuni licei, a Milano, per parlare di intelligenza artificiale. So che anche in Trentino si stanno facendo delle iniziative simili. Rispetto ai primi tempi, in cui dominava una certa diffidenza, oggi noto più curiosità nelle persone. È un bene: serve creare consapevolezza, sia nell’uso quotidiano sia in ambito lavorativo. Come detto, il problema non è la tecnologia in sé, ma il fatto che non venga usata correttamente».
Qual è il tuo sogno professionale?
«Vorrei proseguire nella ricerca, magari all’estero. Per poi tornare un giorno in Trentino. A volte crescendo si riscoprono le radici».
Cosa consiglieresti a un ragazzo appassionato di intelligenza artificiale?
«Di continuare a fare quello che gli piace. Questo è il momento con più opportunità di sempre in questo campo. I sogni si possono realizzare, se ci sono passione e perseveranza».
Vale anche in un piccolo paese come Lavis?
«Sì, la tecnologia non ha confini. Il Trentino offre già molte opportunità: ci sono centri di ricerca come la Fondazione Bruno Kessler e un’ottima università. Ma non solo: anche le piccole e medie imprese iniziano ad avere bisogno di consulenti capaci di integrare strumenti di intelligenza artificiale nei processi quotidiani. Anche in Trentino».