Il ritratto
venerdì 2 Giugno, 2023
Dino Panato, cinque anni fa l’addio al fotografo che amava le storie e il popolo
di Carlo Martinelli
L'uomo che ha raccontato il Trentino, i Mondiali e le Olimpiadi

Cinque anni. Tanti ne sono passati da quel 2 giugno 2018, quando se ne è andato per sempre, a 68 anni. Eppure per i molti, moltissimi che gli hanno voluto bene e lo hanno stimato – e continuano a farlo perché vi sono talenti che non smettono di lasciare un segno – Dino Panato, il fotografo, resta ricordo vivo. Era una delle figure più conosciute della città. Il fotografo, certo. Ma anche il marito sempre innamorato della sua Franca, dei suoi figli. Il musicista, il batterista che visse l’irripetibile stagione beat degli anni Sessanta. Il tifoso del Trento, per anni infaticabile colonna di uno dei club che sosteneva – negli anni d’oro – la squadra di calcio. Un uomo profondamente popolare, nel senso che veniva dal popolo e in quel popolo si è sempre riconosciuto. L’amico che non faceva mai mancare l’ultima barzelletta, l’ultima freddura. Il cittadino che interveniva, discuteva, contestava senza peli sulla lingua, con una passione civile che aveva saputo applicare – nei suoi ultimi anni – all’universo dei social. Dove era entrato portando il suo amore per le storie, per la memoria. Senza dimenticare che Dino Panato era social sì, ma in carne ed ossa. Non era lo schermo del computer a metterlo in contatto con gli altri. Sono i figli di una iper modernità posticcia che credono di socializzare in rete. Dino Panato, con la macchina fotografica in spalla, è stato uno degli ultimi interpreti di un mestiere fatto di scarpinate, di mille conoscenze, è stato social prima che i social esistessero, molto prima. Il fotografo che dai primi anni Ottanta ha raccontato, con le sue immagini, sull’«Alto Adige» di Trento – il giornale, poi «Trentino», cancellato con un colpo di spugna, un dolore che gli è stato risparmiato – persone e cose, fatti e misfatti. E che spesso sbottava: «Mettetele grandi quelle foto in pagina, di cosa avete paura? Una immagine come si deve racconta più e meglio di certi articoli zoppicanti».
Ecco, ci piace pensare che oggi guarderebbe con simpatia a questo T, ad un quotidiano che, ogni giorno, sceglie di dedicare due pagine ad una fotografia o ad una serie di immagini. Come aveva chiamato la sua agenzia? L’Immagine, che lo fece poi approdare alla corte delle più importanti agenzie fotografiche nazionali. Per anni, è stato immancabile ai bordi dei campi di serie A, a catturare immagini che avrebbero regolarmente fatto il giro d’Italia e non solo. Ha documentato Olimpiadi e Mondiali, e con la stessa, identica passione e cura immortalava le feste del rione, i matrimoni, le inaugurazioni, la vita di tutti i giorni. Ed era immancabile laddove la cronaca nera, quella sindacale, quella politica, aveva bisogno della testimonianza per immagini.
Come suo costume – era gran lavoratore, preciso – ha faticato fino all’ultimo. Chi l’ha conosciuto sa quanto fosse rimasto ragazzo, con una vitalità e una forza che lo avevano reso un «uomo ovunque». Era nato a Re, nel Verbano Ossola nell’aprile del 1950 (scherzava su quel paesino con il nome più corto d’Italia) ma fin dai primi anni si era trasferito con la famiglia a Trento. San Bartolomeo il suo quartiere, la «casa» mai rinnegata, sempre amata. Curioso, attento, documentato. Nelle sue ultime settimane aveva voluto aggiornare il più possibile il suo sterminato archivio. Sulla sua pagina Facebook aveva restituito alla città tanti volti, tanti fatti. Aveva ripescato, con quella leggerezza consapevole che gli era propria, avvenimenti altrimenti destinati a certo oblio. Dino, che della memoria fotografica aveva fatto bandiera, non è dimenticato: aveva un suo sorriso, una sua morale, una sua capacità di stare in mezzo alla gente, che era fuori dal comune. Quei baffi inconfondibili hanno solcato strade e piazze, quella sua inseparabile macchina fotografica ha catturato non solo immagini, ma anche emozioni e sentimenti. Un esempio? Una decina d’anni fa in rete, in uno di quei gruppi che insegue storie e memorie, riaffiora la curiosità per un locale di Trento, il Bar Bianco di via Suffragio, in voga nei caldi anni Settanta. E Dino Panato, in pochi giorni, fece un bel regalo a tutti quelli che stavano scervellandosi nel ricordare chi avesse frequentato il locale. Pubblicò infatti non solo l’immagine dell’esterno del locale, pescata chissà dove, ma anche una stupenda foto d’epoca oltre che di gruppo. Non una foto sua, si badi. La prova? Dino Panato è tra i protagonisti di quella immagine. Inconfondibile: i baffi, il sorriso. Forse – scrisse – era stata scattata da Luca Boscheri. Vi fu chi commentò, ironicamente: «Nela foto gh’è en pò de tut: komunisti, fotografi, inzenieri, vignetisti… La Trento bene!». C’era Dino Panato, il fotografo del popolo, il fotografo della gente.
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