L'identikit

martedì 8 Agosto, 2023

Delitto di Rovereto, l’omicida Nweke Chukwuka: una storia di violenza senza cure

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L’omicida era noto per le escandescenze e l’aggressività. Viveva a «il Portico», spesso ubriaco al parco, la compagna e i tre figli in un alloggio protetto. Nessuno ne ha mai chiesto una valutazione psichiatrica. Il tentativo al Progettone

Da un lato la paura dei famigliari, dall’altra un disagio profondo, buio e oscuro. Nel mezzo una sola certezza quella dell’aggressione violenta e brutale che ha tolto la vita a Iris Setti, l’ex funzionaria di banca in pensione (61 anni) aggredita sabato sera nel parco Nikolajevka in pieno centro a Rovereto, Città della Pace, per mano della follia femminicida di Chukwuka Nweke, il nigeriano di 37 anni ora in carcere a Spini di Gardolo con l’accusa di omicidio volontario e rapina. Due fronti che sembravano delineare, almeno sulla carta, un caso da monitorare strettamente, da non lasciare inosservato. Chukwuka Nweke era sì seguito dai servizi sociali della Comunità di Valle Vallagarina che su di lui avevano attivato un progetto di recupero attraverso il cosiddetto Progettone. La compagna di Nweke, con al seguito tre figli, aveva chiesto aiuto, si era rivolta a Fondazione Famiglia Materna che l’aveva inserita in un alloggio protetto dove ancora trova riparo. Chukwuka Nweke era noto alle forze dell’ordine da diverso tempo proprio per le azioni violente, la più eclatante delle quali risale a un anno fa, al 21 agosto 2022, quando in un ennesimo episodio di forte alterazione, successivamente imputata all’abuso di alcol, aveva deliberatamente danneggiato delle auto in sosta e aggredito dei passanti tra cui un ciclista e i carabinieri. Da quell’episodio erano scattati i domiciliari, tramutati poi in obbligo di firma. Domiciliari e firma locati in quel di Mori dove vive la madre di Nweke, sposata a un italiano. Una sorella, che vive a Noriglio. Fino al 2021 la sua residenza risultava nel Comune di Ala, anno in cui il suo nome è stato cancellato dai registri dell’anagrafe. Quindi il trasferimento a Rovereto, vivendo grazie all’ospitalità della casa accoglienza il Portico dove principalmente dormiva. Tutto il giorno a spasso, quindi al parco Nikolajevka. Qui si faceva notare per gli allenamenti a corpo libero, spesso a petto nudo, oppure disteso sulla panchina a bere birra e ad attaccare verbalmente i passanti. I suoi disagi non si sono fermati e nell’ultimo periodo gli eccessi si sono intensificati. Più volte avrebbe cercato di entrare in contatto con i propri figli e la compagna non riuscendoci se non continuando ad alimentare in loro nuove paure. Dall’Azienda sanitaria la conferma che Nweke non era seguito né dal Centro di salute mentale (Csm) né dal Servizio per le dipendenze (Serd). Nessuno ha mai chiesto una valutazione psichiatrica anche se nelle trame della narrazione sembra che l’omicida prendesse qualche farmaco che avrebbe dovuto contenerlo. La non assunzione di questi medicinali era un segnale del possibile aggravarsi del malessere psicologico, aggravato dall’abuso di alcol. Se ciò accadeva Famiglia Materna veniva allertata per mettere in sicurezza compagna e figli. Per provare a recuperare Chukwuka Nweke inserendolo nella società civile si sono mossi gli organi preposti dei servizi sociali i quali hanno provato ad attivare un progetto che lo impiegasse e impegnasse durante le giornate. Perché però non si sia andati oltre, chiedendo un’analisi psichiatrica anche in considerazione di tutte le segnalazioni delle forze dell’ordine, del disagio ampiamente mostrato pubblicamente, della famiglia che per paura vive in un alloggio protetto, non è stata data risposta. La Comunità di valle e il servizio sociale preferiscono la linea del silenzio. Né il presidente della Comunità Stefano Bisoffi, né la responsabile dell’ufficio socio assistenziale, Carla Comper, hanno voluto analizzare la vicenda. «Sono in ferie – fa sapere Comper -, ho letto le incresciose notizie. Mi spiace, ma non ritengo opportuno commentare ora un fatto così grave». Di Chukwuka Nweke ne esce un ritratto di un uomo problematico e violento lasciato solo dalla società e dai famigliari che da lui han preso le distanze. Una tragedia che forse si sarebbe potuta evitare, magari inserendo l’uomo in un percorso di cura a lui più adatto.