La storia

sabato 9 Dicembre, 2023

Dario, il cameriere stagionale rimasto senza casa. «Ora vivo per strada. Per riscaldarmi? Leggo in biblioteca»

di

Un mercato del lavoro difficile e un amore finito che ha lasciato il segno. Ma il freddo lo affronta con un sorriso: «Tornare nel sistema dipende da te»

Le giornate fuori al freddo sembrano interminabili per chi è costretto a girovagare per le strade del capoluogo senza meta. Fra i senzatetto che popolano la città c’è anche Dario, 48 anni, una lunga esperienza lavorativa che gli ha lasciato in eredità qualche intercalare romagnolo, competenze linguistiche solide e una grande passione per il proprio lavoro, il cameriere. È un «vagabondo stagionale», come lui stesso si definisce. Nei mesi non lavorativi non riesce a permettersi un alloggio e fatica a trovare occupazione. Lo incontriamo al parco di Piazza Dante, insieme ad alcuni amici provenienti da Paesi dell’est.

Com’è iniziata questa vita senza fissa dimora?
«Non è sempre stato così. Sono uscito di casa a 22 anni, quando mi sono sposato. Ho lavorato in molti ambiti, ho fatto il pavimentista, l’operaio in cantiere, il rappresentante. Nel 2006, dopo 8 anni, il matrimonio è finito e così ho iniziato a fare il cameriere che è un mestiere che sento nel sangue. Avendo studiato alle magistrali parlo bene il tedesco e questo è un vantaggio».

Da dove arriva questa passione?
«I miei nonni avevano un hotel in Val Gardena. Di là è originaria mia madre, ma ci siamo trasferiti a Trento quando ero molto piccolo. Mio padre invece è di Padova. Loro vivono ancora qui a Trento e con loro a casa c’è ancora uno dei miei due fratelli. Non sono facili i nostri rapporti».

Per questo non vivi a casa?
«Se posso evito».

E così da allora fai lavori stagionali. Ti sposti molto?
«D’estate scendo. Ho lavorato lungo tutta la riviera romagnola fino a Pesaro. Ho avuto una compagna di Pesaro per diversi anni. Abbiamo condiviso le stagioni lavorative spostandoci in Alto Adige in inverno e al mare d’estate».

Com’è la vita da stagionale?
«Dipende. Non è uguale dappertutto. Ho passato una stagione di lavoro a Rimini, dormendo in spiaggia e lavorando al ristorante di giorno, perché non mi davano vitto e alloggio. In Alto Adige è sicuramente diverso».

E tra una stagione e l’altra?
«Il mercato del lavoro in questi anni è cambiato. È chiuso, prendono i più giovani per ragioni contributive. Non è più così facile trovare da fare nei mesi fuori dalle stagioni. E poi, dopo 7 anni, è finita la storia con la mia compagna di Pesaro. Questo mi ha fatto molto soffrire e mi sono innamorato della bottiglia… Per quattro anni è stata proprio un’esigenza, ma ora la sto gestendo e se bevo lo faccio in compagnia dei miei amici per riempire un po’ del tempo nelle 11 ore che passo fuori al freddo».

Come sono le tue giornate?
«Fortunatamente a Trento c’è molto. C’è un sistema integrato: troviamo vestiti puliti, un posto dove dormire, c’è il Punto d’Incontro… Il problema è come trascorrere il tempo. Dobbiamo lasciare il dormitorio alle 8 del mattino e riapre alle 19. Sono 11 ore da passare fuori. Frequento i parchi. Spesso veniamo qui (Piazza Dante, ndr) con questo gruppo di amici, siamo in 5-6. Io sono una mosca bianca perché sono italiano mentre loro sono dei Paesi dell’est. Per me c’è una fratellanza con questa gente. Hanno una cultura vicina alla mia, nella quale il rispetto reciproco è molto importante. Veniamo qui, sotto le casette di Natale a chiacchierare. Ci sono tanti eventi a Trento quindi qualche casetta c’è sempre».

Occasioni per stare al caldo?
«Spesso vado in biblioteca. Sono 20 anni che leggo 5 quotidiani al giorno, dalla prima all’ultima pagina. A volte li leggo al bar, spendo un euro di caffè e sto lì qualche ora. In stazione non si può stare, ci dicono che senza biglietto non si può rimanere».

Gli aiuti sono sufficienti?
«Sono stato per anni anticlericale, diciamo. Ma mi sono dovuto ricredere sulla Curia trentina che aiuta in modo concreto e anche il Comune fa molto. Ci garantiscono un po’ di dignità. Quanto alle persone, le nuove generazioni di trentini hanno perso la moralità cristiana, sono tutti abituati troppo bene. Dovremmo imparare dai nostri genitori: una generazione che dietro la scorza dura ha un cuore gigante».

Cos’altro si può fare?
«Il lavoro deve partire dalla volontà della persona. Il mercato è difficile e si finisce fuori dal sistema ma se vuoi ti ci rimetti dentro. Deve partire da te».

Tra poco ricomincia la stagione?
«Il 22 vado in Alto Adige. Questi due mesi di “ferie comboniane” mi hanno fatto bene. E poi vedremo. La “pausa” prima della stagione estiva è più breve. E fuori, con il caldo, ci si sta più volentieri».