Bambini

giovedì 10 Novembre, 2022

Al Muse si impara (insieme) giocando

di

Una didattica ad ampio spettro che sperimenta e usa vari metodi, guardando anche all’arte e al teatro

Alessandro de Bertolini
Metodologie differenti per favorire modalità di apprendimento informali senza mai dimenticare il metodo scientifico: così si spiega la scienza ai bambini al Muse – Museo delle scienze. «Non tutti imparano allo stesso modo», spiega Paolo Degiovanni, educatore del museo. «Puntando sui diversi stili di apprendimento dei bambini e delle bambine (ma anche degli adulti), cerchiamo di far esprimere a ciascuno, nel modo più democratico possibile, le proprie potenzialità».
Le proposte formative dell’offerta didattica del Muse sono moltissime e diversificate: attività in sede e attività on line, laboratori, mostre dedicate ai bambini, eventi e iniziative per le scuole fino alle escursioni sul territorio e nelle sedi periferiche del museo (Arboreto di Arco, Museo geologico delle Dolomiti di Predazzo, Museo delle palafitte del lago di Ledro, Giardino botanico alpino delle Viote e Terrazza delle stelle sul Monte Bondone).
Ma come si svolgono queste proposte e come si progettano? Quali strumenti utilizzano, sia fisici sia concettuali? «Puntiamo su una didattica ad ampio spettro – continua Degiovanni – che usa metodologie differenti. Alcuni metodi di apprendimento provengono dalla didattica tradizionale, proposta nelle scuole, che adattiamo alle nostre esigenze. Altri, la maggior parte, fanno riferimento a modalità educative museali, che hanno un carattere più informale, senza mai trascurare l’importanza del metodo scientifico». Tra queste, il metodo Ibse (Inquiry Based Science Education), un approccio all’insegnamento delle scienze che mette al centro l’esperienza diretta. «È un metodo investigativo – continua l’educatore – dove ciascun partecipante ha modo di esprimere il proprio contributo. Si parte dall’osservazione di un fenomeno, come se lo si guardasse per la prima volta, e poi si cerca di formulare delle ipotesi». Parallelamente, si usa il metodo Stem (Science, Technology, Engineering e Math), che consiste nel mettere in comunicazione discipline differenti, compenetrandole. «Al Muse – sottolinea Degiovanni – abbiamo aggiunto all’acronimo anche la lettera A, includendo così l’arte: Steam. È spesso possibile, infatti, trovare occasioni di insegnamento in cui l’arte dialoga con le cosiddette “scienze dure”, costruendo con i bambini percorsi inediti verso nuovi stimoli e soluzioni». Accanto a questi metodi ce ne sono altri. «Come il “Cooperative Learning”, ovvero l’apprendimento cooperativo, una metodologia che consiste nel favorire lavori di gruppo e di cooperazione. Come il ”Learning by doing”, che significa letteralmente “sperimentare facendo”. O come la “gamification”, l’utilizzo di elementi tipici del gioco all’interno di un percorso didattico nel tentativo di “imparare giocando”, ma senza banalizzare l’apprendimento. Utilizziamo anche il “Tinkering”, vocabolo inglese che significa “manipolare” o “darsi da fare”, un metodo che punta ad accrescere le attitudini del bambino stimolandolo verso la risoluzione dei problemi, senza però dargli le istruzioni complete. Abbiamo poi altre proposte specifiche, create al Muse, che si servono di altri linguaggi. È il caso di “teatro-scienza”, un’attività che veicola contenuti scientifici attraverso la teatralizzazione. Ma anche “Demonstration” e “Science Show”, divertenti sketch di approfondimento su tematiche scientifiche, che si svolgono negli spazi espositivi del museo». Tutte queste metodologie, tra le principali dell’area educativa del Muse, non vengono utilizzate singolarmente, ma sono spesso amalgamate all’interno delle attività didattiche, dando luogo a forme di ibridazioni che continuano a variare.
«A prescindere dal percorso formativo e dal tema scientifico prescelto – conclude Degiovanni – cerchiamo di veicolare nelle nostre attività gli obbiettivi presenti nell’agenda 2030 legate allo sviluppo sostenibile e ai contenuti dell’educazione civica».