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martedì 20 Febbraio, 2024

A Cles parti ridotti a un terzo in sei anni, Demagri: «Urgente investire su altri servizi come strutture intermedie per anziani»

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A gennaio 2024 registrate 11 nuove nascite. Nello stesso mese del 2018 erano 31

Paola Demagri, di Cles, è alla sua seconda legislatura in consiglio provinciale, sempre sui banchi dell’opposizione. Prima Patt, poi CasaAutonomia.eu. Coordinatrice infermieristica specializzata, ha da sempre a cuore le questioni legate alla sanità, all’assistenza, alle politiche sociali, ma anche all’agricoltura e alla zootecnia. In molti l’avevano proposta anche come candidata alla presidenza della Provincia per il centrosinistra autonomista.
Consigliera Demagri, cosa significa essere «consigliera di opposizione»?
«Beh, è più complicato incidere sulle scelte politiche, ma si possono e si devono presidiare i temi: significa lavorare perché le cose non peggiorino. Credo di averlo fatto. La sanità, ad esempio, è stata sottoposta a svuotamento progressivo: si punta solo a risparmiare a tutti i costi. Siamo riusciti a contenere il rischio di perdita di anestesisti, chirurghi, ortopedici, sollecitando la giunta. Sulle attività territoriali si voleva fare di più, ma la Provincia non ha messo le risorse».
Ad esempio, su quale progetto?
«Sugli infermieri di famiglia. Il Covid ci aveva dimostrato che le cure domiciliari e territoriali devono evolvere, ma non si è fatto nulla. Mancando risorse, si è cercato di indebolire gli ospedali di Valle, come quello delle Valli del Noce di Cles, per trasferire le risorse alla medicina territoriale. Ma la qualità deve restare alta. Il pronto soccorso di Cles, ad esempio, un tempo serviva solo la Val di Non e la Val di Sole, mentre ora viene raggiunto anche da chi vive in Piana Rotaliana e persino dalla Val di Cembra. E poi sono aumentati i bisogni».
In che senso e perché?
«Sono aumentati i bisogni soprattutto a livello psicologico, non di infortuni o legati al dolore. Molti cittadini non sanno dove andare: il pronto soccorso offre un servizio 24 ore su 24, i medici di medicina generale sono oberati di lavoro. Bisognerebbe valorizzare le aggregazioni di medici, fornire loro personale amministrativo per sgravarli dai carichi burocratici. Aumentano i pazienti con demenza, soli, che hanno bisogno di cure palliative».
E in Val di Non la situazione non è migliore che nel resto della Provincia?
«Purtroppo, no. Anzi. È peggiore: mi riferisco alla percentuale di letti istituzionalizzati per non autosufficienti per persone con più di 65 anni di età. In Val di Non siamo al 19%, nelle Giudicarie, ad esempio, al 45%. Serve una risposta più forte in campo socio-sanitario alle situazioni a bassa complessità. Abbiamo pochi posti nelle tre Apsp: a Moncovo (Ton) una ventina, 29 a Cles, 5 a Tassullo. A Romallo, in co-housing, ne stanno arrivando altri venti. Ma sono sempre troppo pochi. Serve investire in queste strutture, perché le Rsa ormai sono strutture a media e alta complessità. A Cles, su 140 posti letto 120 sono Uvm, gli altri 20 sul libero mercato: cioé la Provincia non paga la retta sanitaria. Fondo ha una Rsa che è una cooperativa. Dato che è sempre più difficile costruire nuove Rsa, vanno trasformati in Uvm i posti esistenti: sono già 31. Non è possibile che abitanti della Val di Non abbiano il proprio congiunto in una Rsa a Strigno…».
Con il nuovo assessore alla salute, Mario Tonina, c’è già un’interlocuzione in corso?
«Vedo la disponibilità. Nella consiliatura precedente sono state lasciate delle macerie. L’assessore Tonina è un interlocutore attento, che ascolta molto».
Quando si parla di sanità inevitabile pensare ai punti nascita. Vale la pena lo sforzo di tenere aperti quelli di valle poco frequentati?
«Sono gli utenti a dare un’indicazione. Mi spiego: a gennaio 2024 i parti a Cles sono stati 11. Nello stesso mese del 2018 erano 31. Credo si tratti di una transizione fisiologica, visto che la politica non decide. Va fatta una “trattativa” con la popolazione, proponendo un’offerta di altro genere: altri servizi sanitari».
Ci sono aspetti legati alla salute anche nel discorso sull’agricoltura, per quanto riguarda la Val di Non.
«C’è oggi molta attenzione da parte degli agricoltori per la salute, rispetto alla dispersione nell’ambiente dei fitofarmaci. Con il sistema a chioma non si disperdono fitofarmaci e non si spreca l’acqua. Per quanto riguarda il cambiamento climatico, serve il mutuo soccorso tra consorzi irrigui per evitare sprechi e favorire il risparmio idrico. La politica deve accompagnare questa collaborazione e la transizione anche a nuove colture, come vite e ciliegie, che portano biodiversità rispetto alla monocoltura della mela e possono essere appetibili per i giovani».
Parlando di agricoltura, il pensiero al turismo è quasi automatico.
«La Valle di Non ha fatto molto, e molto altro può fare. L’Apt può gestire e favorire la transizione dei nostri sistemi di risalita a nuovi prodotti ludico-ricreativi, al di là della neve».