La storia

martedì 15 Luglio, 2025

Stava, Alma Trettel sopravvissuta alla tragedia. «Ero a tavola con marito, figlio e mamma: sono morti tutti. Prima un sibilo poi il fango in bocca»

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Il figlio Marco oggi avrebbe 44 anni e il suo corpo non è mai stato ritrovato. Il ricordo della donna, 71 anni, che ha perso in un istante tutta la sua famiglia. «Qualcuno mi ha sollevata, mi hanno messa su un pezzo di legno, forse una porta»

Quanta sofferenza in quegli occhi chiari, in quella voce sussurrata che ogni tanto si interrompe quasi a ricacciare il groppo che serra la gola. Alma Trettel (1954) aveva un marito (Stefano Gianmoena, 31 anni), un figlio (Marco, 4 anni appena compiuti), una mamma (Maria Pasqua Volcan, 68 anni). Era appena tornata a casa dal lavoro, per il pranzo, dalla mamma, poco oltre il ponte di Tesero, nella valletta incisa dal rio Stava.
«Eravamo a tavola noi quattro. C’era stato un rumore, come una forte folata di vento. Mi ero affacciata sul balcone per capire che cosa fosse quel sibilo. Mi sono sentita sollevare… e non ricordo altro».
Quanto è durato il buio?
«Non so dire quanto tempo sia passato. A un certo punto mi pareva di avere la bocca piena di fango, faticavo a respirare. Qualcuno mi ha sollevata, mi hanno messa su un pezzo di legno, forse una porta».
Ricorda qualcos’altro?
«So che mentre mi portavano in ospedale sentivo dentro di me che i miei erano tutti morti. Una sensazione ma avevo la certezza che non c’erano più».
I giorni in ospedale, a Cavalese.
«Avevo paura a chiedere, erano tutti molto gentili con me. Quando me lo hanno detto fu solo la conferma di quanto avevo capito fin da subito».
I corpi dei suoi cari furono almeno recuperati?
«Solo Stefano, Marco e la mamma no».
Tre anni dopo a Tesero arrivò il papa, Giovanni Paolo II.
«Ci eravamo preparati, pensavo di potergli parlare, è passato in fretta, eravamo tutti noi familiari dei morti di Stava dietro una transenna, a lato del cimitero di San Leonardo. Mi ha dato la mano».
È rimasta delusa?
«Mi è dispiaciuto, avrei voluto parlargli… Se solo avesse avuto un po’ di tempo per noi. Ma tutti premevano: via via, e noi lì a guardarci l’un l’altro, perplessi. Su a Stava c’erano i politici che lo aspettavano, avevano più diritti di noi… Se era venuto per darci conforto non l’ho percepito».
Un peccato.
«È stata una visita troppo veloce. Avevamo bisogno di una parola per noi. A quel tempo io facevo parte del “Movimento per la vita”. Ho consegnato una lettera a qualcuno del seguito».
Che cosa scriveva al papa?
«I giornalisti, anche allora volevano sapere».
Ma lei non rivelò nulla.
«Chiedevo un consiglio, erano e sono cose private».
Poi lei partì per un viaggio in India.
«Facevo parte di una comitiva di Fiemme. Volevo incontrare madre Teresa».
A Calcutta riuscì a incontrarla?
«Avevo un indirizzo ma il taxista che mi aveva accompagnata non riuscì a trovarlo. Girò a lungo ma avevo poche ore a disposizione perché la comitiva riprendeva il viaggio».
Che cosa voleva da madre Teresa?
«Avrei voluto mettermi a disposizione della sua opera».
Voleva farsi suora?
«No, ma avrei voluto fermarmi a dare una mano in qualche modo».
E invece?
«Mi rassegnai. Pensai che anche quello faceva parte di un qualche disegno che non capivo ma che dovevo accettare».
Torna l’anniversario di quel tragico venerdì 19 luglio 1985.
«Qui a Tesero c’è gente che dice che è ora di finirla con sta storia di Stava. Sono anni che a ogni 19 luglio c’è qualcuno che sbuffa. Non è ora di finirla, è tempo di continuare a ricordare».
La vigilia si tiene da anni una via Crucis lungo la strada per Stava.
«Ma sì, è anche molto partecipata a dire il vero. Poi il giorno dell’anniversario arriva tutta quella gente da Trento. Per chi ha patito e patisce sulla propria pelle quel disastro a volte pare proprio una messa in scena».
Arriverà anche l’arcivescovo.
«Sì, sì, a omaggiare i politici come nell’anniversario dei 35 anni. E noi nell’altra fila di banchi, come se non esistessimo. Avevo scritto una lettera di protesta, rimasta senza risposta».
Lei è credente, no?
«Certo. Se non mi aggrappavo alla fede non so… dove sarei finita. Ma se devo dirla tutta ci sono stati solo due preti che ho sentito vicini: don Giovanni Conci (1931-2005) e don Augusto Covi (1929-2013). Quelli erano sempre accoglienti. Ti stavano ad ascoltare. Ed è ciò di cui uno ha bisogno in quelle circostanze».
L’associazione sinistrati di Stava serve, è servita a qualcosa?
«L’ho seguita i primi anni poi, anche se si impegnano le cose accadono ugualmente. Adesso portano al centro di documentazione i ragazzi, arrivano da scuole anche lontane. Ma a me pare che sia una cosa che lascia il tempo che trova. Stava non ha insegnato nulla».
Che cosa manca?
«Forse manca la sensibilità da parte delle persone, non lo so. Come dicevo prima, anche qui a Tesero c’è gente che dice: è ora di finirla con questa Stava, sempre Stava… Ma che finirla che?».
Dicono che la comunità di Tesero, dopo Stava si è frantumata.
«Sì, perché, come sempre, quando ci sono di mezzo i soldi ti vedono ricco, senza approfondire le cose. Per esempio, per quanto mi riguarda, questa casa qui era già in costruzione quando è accaduto il disastro. Non è che me l’hanno fatta su con i risarcimenti. Dopo, certo, gli alpini mi hanno dato una mano a finire l’appartamento. E di questo sono stata riconoscente».
Molti guardano l’esteriorità, par di capire.
«Ecco, non chiedono ma criticano. E io sono rimasta qui per dare testimonianza, per dire che non siamo soli, che il Signore Iddio ci dà una mano… Che el ghè, insomma. Vivo qua ma sono sola».
La gente di Tesero, par di capire anche da altre testimonianze, non è diventata migliore dopo Stava.
«Come in tutte le comunità. Chi ha sofferto si cura le ferite e se le deve portare avanti, anno dopo anno. Chi ha avuto la fortuna di restare fuori vede solo la parte materiale. C’è chi nemmeno ti saluta, insomma».
Quando è tornata a Stava?
«Per molti mesi ho evitato di andarci. Mi veniva l’angoscia. Poi la vigilia di un Natale, prima di andare a casa a Cavalese dove mi ero trasferita nel frattempo, sono andata là. Tornavo dal lavoro, ho girato i miei passi e sono andata fin là, dove c’era la casa. Non volevo fuggire dai problemi, ho sempre cercato di affrontarli. Tanto l’angoscia ritorna sempre, non puoi fuggire a te stessa e alla verità».
Stava, come il toponimo al passato. Un evento che ritorna, anno dopo anno. Anche per chi vorrebbe cancellarne la storia e la memoria. La vita continua, certo. Alma Trettel si è risposata, ha avuto due figli. La fotografia di Marco è lì sulla parete di casa. Il piccolo sorride. Oggi avrebbe 44 anni.