La rubrica

lunedì 30 Giugno, 2025

Il silenzio punitivo, come riconoscerlo per evitare il conflitto tossico. «È una forma di manipolazione: serve a farti sentire in colpa»

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La nuova puntata di «PsicoT» con Maria Rostagno per educare ragazze e ragazzi all'affettività consapevole. «Dopo un litigio, è normale aver bisogno di un po’ di tempo per calmarsi. Ma attenzione: c’è una grande differenza tra prendersi una pausa e usare il silenzio per ferire l’altro»

Cari ragazzi, care ragazze, può sembrare innocuo, persino pacifico. Ma il silenzio, quando diventa una strategia per punire l’altro, comunica più di mille parole. Nella nuova puntata di «PsicoT», ne parliamo con la psicologa Maria Rostagno: che cos’è il silenzio punitivo, come riconoscerlo e, soprattutto, come proteggersi da una forma di manipolazione emotiva che può lasciare ferite invisibili, ma profonde.
Il silenzio punitivo viene spesso normalizzato o confuso con il bisogno di «prendersi tempo»: come possiamo riconoscere quando diventa invece una forma di manipolazione emotiva?
«Dopo un litigio, è normale aver bisogno di un po’ di tempo per calmarsi. Ma attenzione: c’è una grande differenza tra prendersi una pausa e usare il silenzio per ferire l’altro. Se qualcuno ti dice “parliamone più tardi, ho bisogno di pensarci”, è un silenzio sano. Ma se smette di parlarti per giorni, ti ignora, fa finta che tu non esista, senza spiegazioni… allora potrebbe essere silenzio punitivo. È una forma di manipolazione: serve a farti sentire in colpa, a farti credere che hai sbagliato, anche quando non è vero. Ti fa camminare sulle uova e ti lascia con l’ansia di sbagliare ogni volta che apri bocca. Il silenzio non dovrebbe mai far male. Se succede, è giusto parlarne e chiedere aiuto».
Quali sono le conseguenze psicologiche, soprattutto nei più giovani, quando ci si trova sistematicamente in relazioni dove si viene sminuiti o ridicolizzati?
«Quando sei sempre preso in giro o sminuito da chi dovrebbe volerti bene, qualcosa dentro di te si rompe. All’inizio magari ti difendi, ma poi inizi a crederci davvero: “Non valgo niente”, “Sono troppo sensibile”, “È colpa mia”. A forza di sentirti dire che esageri o che le tue opinioni non contano, perdi fiducia in te stesso. Cominci a dubitare delle tue emozioni, a pensare che siano sempre sbagliate. Questo tipo di relazioni fa male perché ti lascia con una voce dentro che ti critica in continuazione, anche quando la persona non c’è più. Ti senti insicuro, ti isoli, pensi di non avere nulla da offrire. Le ferite emotive non si vedono, ma restano a lungo: abbassano l’autostima, fanno crescere l’ansia e rendono difficile fidarti di nuovo, soprattutto di te stesso».
In un’educazione affettiva consapevole, come si può insegnare la differenza tra il conflitto sano e il disprezzo dell’altro?
«Il conflitto sano è una parte normale di ogni relazione. Non vuol dire non litigare mai, ma litigare nel modo giusto: parlando del problema, non attaccando la persona. Dire “Mi ha dato fastidio che non mi hai avvisato” è diverso da dire “Sei sempre uno sconsiderato”. Nel conflitto sano c’è rispetto. Anche se si è arrabbiati, si evitano insulti, umiliazioni o minacce. L’obiettivo non è vincere, ma capire l’altro e trovare una soluzione insieme. Il disprezzo, invece, è un veleno. Si riconosce da prese in giro cattive, sarcasmo, insulti, frasi come “Non capisci mai niente”, ma anche da sguardi sprezzanti o occhi al cielo. Qui non si cerca il dialogo, ma si vuole solo far sentire l’altro inferiore. Il conflitto sano ti fa sentire ascoltato, anche quando non c’è accordo. Il disprezzo ti fa sentire piccolo, sbagliato, invisibile. In una relazione sana si può litigare e poi ritrovarsi, perché il rispetto resta. Arrabbiarsi non significa mancare di rispetto. Al contrario: è proprio nella rabbia che si vede quanto tieni davvero a una relazione. Se riesci a restare rispettoso anche quando sei ferito, stai costruendo qualcosa di solido. Imparare a litigare bene vale in ogni tipo di legame: nelle coppie, nelle amicizie, in famiglia. Le parole hanno un peso, anche nella rabbia. Possono ferire o aiutare a crescere. Sta a noi scegliere come usarle».