Poesia
venerdì 18 Luglio, 2025
Vivian Lamarque ad Arte Sella: «Tesero è la mia stella cometa. Le cicatrici si affacciano nei miei versi, Raboni li definì di feroce semplicità»
di Gabriella Brugnara
La poetessa trentina sarà a Malga Costa dove porrà i suoi versi in dialogo con «Sabìr», l'opera di Velasco Vitali

«Il mio paese natale, Tésero, detto il Paese dei Presepi, è sempre stato come una stella cometa molto lontana per me, mi tenne con sé come una buona capanna per 18 mesi, i 9 della gestazione e i primi nove mesi poi. A quell’età, che considero non di una neonata, di una bambina, fui deviata sul binario Milano, in un Presepe completamente diverso, con figure genitoriali nuove e senza più i due fratellini e la sorellina. Alla quasi vigilia dei miei 80 la bella toccante sorpresa: da Tésero mi è giunta la Cittadinanza Onoraria, ora mi sento più Teserina , fu una cerimonia toccante».
Vivian Lamarque, una delle voci più originali e riconoscibili del panorama poetico italiano, racconta così il suo legame con il Trentino, sua terra d’origine. In un’esperienza unica di ascolto tra poesia e paesaggio, la poeta domani alle 19 sarà ad Arte Sella nell’ambito di «Arte Sella Poesia» ideato da Susanna Tartaro, curatrice e voce di Fahrenheit su Rai Radio 3. L’appuntamento è a Malga Costa, dove Lamarque porrà i suoi versi in dialogo con «Sabìr», l’opera di Velasco Vitali. Evento in collaborazione con La Piccola Libreria di Levico. Lamarque (Tesero, 1946) vive a Milano. Esordisce con «Teresino» (1981), vincendo il Premio Viareggio Opera Prima, e pubblica con editori come Guanda, Mondadori, Garzanti e Crocetti. Si ricordano i recenti «Madre d’inverno» e «L’amore da vecchia» (2022), con cui ha vinto la prima edizione del Premio Strega Poesia. Il suo ultimo libro è «E intanto la vita? Poesie per Lei, Dottore» (Mondadori, 2025).
Vivian Lamarque, la natura è parte viva dei suoi versi. Il Trentino è prima di tutto natura, in un binomio inscindibile con la cultura. Ora lei porterà i suoi versi ad Arte Sella, dove arte e natura respirano all’unisono.
«Molti amici conoscono bene Arte Sella, ci sono già stati e mi dicono beata che stai per andarci, ci torneremmo di corsa. Vivo da sempre a Milano, è vero, ma sono un’esperta, una specializzata in “immaginario”, riesco a vedere natura anche dove non c’è, o dove è rappresentata, per delega, in minime dosi. Per vent’anni ho avuto, qui a Milano, nel Quartiere QT8 , un giardino con alberi da frutta e persino un orto. Ora ho solo due balconi ma io li immagino prati e uno dei davanzali l’ho trasformato in praticello. Dedico molto tempo a loro e le mie poesie ne sono testimonianza. Ma nel mese di dicembre divento inconsolabile, immaginare non mi basta, sento una nostalgia smisurata di neve, di abeti, di Presepi. Molte miei versi e molte mie fiabe ruotano attorno a questo. (Ritsos: i poeti sono gli inconsolabili consolatori del mondo)».
L’opera di Velasco si intitola Sabìr e prende ispirazione da una lingua franca. La cupola vuole essere un ponte tra Oriente e Occidente. Il mare è luogo di passaggio e perdita. Possiamo dire che la sua poesia racconta spesso una condizione di lieve estraneità, non fisica ma esistenziale?
«Non vedo l’ora di essere lì, l’opera di Velasco è allusiva di grandi verità. Sì, lei ha ragione l’estraneità mi si addice. È molto forte in me, da tutta la vita inseguo il suo contrario l’appartenenza».
Quanto è importante la meraviglia nella sua poetica, che si fonda su uno sguardo incantato, infantile e al tempo stesso consapevole sul mondo?
«Consapevolezza certo, ma stupore e meraviglia fanno la parte del leone, non c’è giorno in cui non provi le emozioni profonde che ne derivano».
La sua poesia riflette spesso su malattia e morte. Qual è il suo rapporto con la fragilità del corpo e il tempo che passa?
«Più passano gli anni, più le incontriamo sul nostro cammino, sia direttamente, sia affrontate dai nostri cari, dai nostri parenti, dagli amici. Molto meglio di me possono risponderle le numerose mie poesie su questi temi. Nelle letture pubbliche colpiscono spesso nel profondo gli ascoltatori, che poi mi si accostano, mi fanno domande e confidenze. Sono i grandi misteri della vita. Anche le cicatrici mi colpiscono e si affacciano talvolta nei miei versi. (ho due poesie così intitolate)».
Quali sono i poeti e le poete che hanno nutrito la sua immaginazione? L’ordinario che rivela l’assoluto, lo stupore, la profondità che non è oscurità, l’ironia e l’autoironia: si avverte nella sua poesia qualche legame con quella di Wisalawa Szymborska. È d’accordo?
«Il quotidiano è una miniera per me. Di Hans Christian Andersen ricordo la fiaba che inizia con “C’era una volta un ago da rammendo di sentimenti così delicati che credeva d’essere un ago da ricamo”. Sento molto vicina Wislawa Szymborska soprattutto per l’uso che fa di ironia e autoironia, armi che sono anche mie. Emily Dickinson è il mio Everest, la vetta da scalare, la più grande. Decenni fa, a New York dove ero con altri poeti per dei readings, a un certo punto mi staccai dal gruppo per raggiungere, con la catena di bus chiamata Peter Pan, Amherst, potei visitare la sua casa, il suo giardino, e infine la sua tomba con incisa la parola “recalled” richiamata».
La sua poesia ricorda la leggerezza in senso calviniano, quella che non esclude le ragioni della pesantezza.
«Sì, per fortuna Italo Calvino, nelle “Lezioni Americane”, ha lasciato molte riflessioni sulla “difficile facilità”. Giovanni Raboni scrisse della mia poesia che era di una “semplicità quasi feroce”. I non addetti ai lavori possono invece scambiarla, riduttivamente, per povertà di linguaggio. Due aneddoti: uno studente una volta dopo una mia lettura alzò la mano e disse , con tono deluso: “ma che poesie sono le sue ? si capisce tutto!” E una volta uno scolaretto giudicò una mia fiaba “ben scritta ma un po’ infantile!”. Lui aveva 7 anni e io una cinquantina!».
La poesia oggi è quasi un atto di resistenza, non pensa?
«Bella domanda, ma purtroppo devo interrompere, devo correre, la ringrazio».
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