Dalle Valli

venerdì 18 Novembre, 2022

Viaggio in Val di Cembra, tra anziani e spopolamento

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I paesi raccontano: «Nel 1980 eravamo in 85, oggi siamo rimasti in 28. Le cave davano lavoro a duemila operai, ora sono cinquecento»

Val di Cembra, novembre. Nuvole basse sulla valle per gran parte della mattinata. Poi come d’incanto anche la nebbia si diradò e arrivò il sole. Ultimo scampolo d’autunno, a Gresta di Segonzano, villaggio sul fondovalle dell’alta valle dell’Avisio dove gli abitanti si potevano contare uno ad uno. Ed è ciò che fece, indicando le case dai camini che fumavano, Ezio Giacomozzi, per molti anni vicesindaco di Segonzano: «Nel 1980 eravamo in 85, oggi siamo rimasti in 28». A tamponare l’emorragia, nell’ultimo decennio erano approdati a Gresta cinque nuclei familiari, uno con due bambini al seguito.
La situazione non era migliore nelle altre frazioni periferiche del comune: a Gaggio, 38 residenti di cui 2 nuclei arrivati da qualche anno; a Valcava, sulla costa dirimpetto a Sover, 46 persone e due famiglie insediate da poco. A Quaràs, nella valle delle Piramidi di terra, solo 12 abitanti e 3 nuclei di recente immigrazione. Anche al Prà, sul corso dell’Avisio oltre i ruderi del castello di Piazzo, 12 residenti con una famiglia arrivata da poco. Al Rio secco, lungo la valle del rio Regnana verso Piazze di Pinè, una sola famiglia di tre persone.
Pierangelo Villaci, sindaco di Segonzano, non aveva dubbi: «Molta parte dello spopolamento è legato alla pesante crisi del porfido. Le cave di Albiano e Lases, con Fornace e San Mauro di Piné, davano lavoro a duemila operai. Gli addetti si sono ridotti a 500 e oggi hanno chiuso l’ultima cava a Lases». Se a questo si aggiungevano il saldo negativo (tra nati e morti), con il Covid che aveva raddoppiato i prelievi naturali; l’aumento dell’età media della popolazione e la denatalità, la crisi appariva irreversibile. Eppure, qualche tentativo per frenare la frana si era fatto. Simone Santuari, presidente della Comunità territoriale della val di Cembra rammentò che proprio a Gresta stavano per cominciare i lavori per la realizzazione di una delle due passerelle a precipizio sull’Avisio. «Serviranno a completare un anello che dovrebbe prolungare e deviare il sentiero E5, da Grumés, lungo il rio dei molini e il sentiero degli antichi mestieri. Sul fondovalle, attraversato l’Avisio, si proseguirà verso Gresta. Qui, il comune di Segonzano intende trasformare l’edificio della canonica, di proprietà pubblica, in un punto di ristoro. Oltre il cimitero una seconda passerella di 200 metri, alta cento metri sulla forra, consentirà il ritorno sull’altra sponda e la risalita verso Grumes».
Simone Santuari allargò lo sguardo lungo quel tratto dell’Avisio che si intravedeva dalla piazza della chiesa di Gresta. Se si fosse concretizzato il progetto che negli anni 80 del secolo scorso infiammò gli animi e si fosse realizzata la «diga di Valda», lì sotto avremmo avuto un lago artificiale lungo 12 chilometri. L’opera, già prevista nel piano De Marchi (1967) per laminare le piene dopo la devastante alluvione del 1966, si trascinò per anni tra progetti di sfruttamento idroelettrico (Verona) e proteste degli ambientalisti. Per qualche decennio, Valda e la sua futuribile diga furono al centro del dibattito.
Nell’autunno del 2022 anche l’ex comune della sponda destra, inglobato (2016) in quello di Altavalle, soffriva i sintomi dello spopolamento. Dopo la chiusura del bar, lungo la strada che attraversa l’abitato, resisteva la Cooperativa di generi alimentari. «Ma la popolazione è in declino, meno di 200 abitanti, e il gerente deve intaccare i pochi risparmi di quando il bilancio era in attivo», disse Simone Santuari. «Senza un punto di aggregazione la comunità è destinata a scomparire».
Dalla fine del 2021, a Gresta non c’era più il servizio porta a porta che tre giorni la settimana era assicurato dal negozio Menegatti di Saletto. Resisteva un trasporto settimanale, con un pullmino assicurato dalla Comunità di valle, per quegli anziani che il mercoledì intendevano recarsi al mercato di Cembra.
Il servizio postale era assicurato due o tre volte la settimana. Guido Stefenelli, 54 anni, il portalettere che incrociammo a Gresta bassa, garantiva la distribuzione della corrispondenza per le frazioni di Sabion, Casàl, Gresta, Gaggio e Valcava, nel comune di Segonzano e, a giorni alterni, di Sover, Piscine, Piazzole e Montesover. Raccontò: «Anche a Montesover la vedo brutta. Da 380 abitanti che eravamo quarant’anni fa siamo ridotti a meno di duecento. Molti sono anziani, tanti sono andati via: a Pergine, in Valsugana e a Trento».
Il bisogno di non spegnere le radici stava guidando anche il progetto di trasformazione della canonica di Gresta in punto di sosta e di ristoro. “All’ultimo piano, spiegò il sindaco Villaci, si vorrebbe ricavare un piccolo museo. Della civiltà contadina e della biodiversità». Tullio Pedri rammentò che suo padre, negli anni ’60, aveva contribuito a realizzare alcuni manufatti per il museo degli usi e costumi di San Michele all’Adige: una slitta, un «benèl», un grande cesto di vimini per il trasporto dello strame e del letame, una «bàga», una sacca di pelle di capra dentro la quale si portavano il vino e la grappa. Da queste parti il contrabbando fu uno dei cespiti della sopravvivenza.
Ma fu pure all’origine di denunce, sequestri, sparatorie e persino causa di morte. La Tina, vedova da poco, raccontò che suo suocero restò mortalmente ferito mentre di là dall’Avisio stava scardinando ciocchi di legna. Un ramo gli si conficcò nel cervello e i suoi compagni di lavoro tentarono, inutilmente, di disinfettarne la ferita con fiotti di grappa. Il pover’uomo morì “col cervèl brusà”, fra atroci dolori. Quel che è peggio (si era alla fine degli anni Quaranta del secolo scorso) il boscaiolo era morto di là dall’Avisio. Per trasferirne la salma, pochi metri di qua dal torrente, si doveva pagare il dazio al comune di Grumes. Non c’era denaro. Pertanto l’uomo fu seppellito sull’altra sponda della valle.
Nel piccolo cimitero di Gresta, un fazzoletto di terra sullo sperone che si protende verso l’Avisio, i cenotafi rammentavano l’emigrazione americana. Come la tragica fine di Luigi Giacomozzi “morto a Dorango Colo Nord America il 5 ottobre 1920” e per il quale “la madre e frattelli dolenti posero”. Il sindaco Villaci ricordò che, quando fu pavimentata la piazza della chiesa, nel porfido grigio furono cementate 21 pietre rotonde: «A ricordo delle 21 famiglie di Gresta (e Gaggio) emigrate oltre Oceano». Altre famiglie, attraversato l’Avisio su una passerella, scollinata la montagna fra Grumes e Grauno, si stabilirono nella piana dell’Adige. La maggior parte dei cognomi della Bassa Atesina hanno radici in valle di Cembra.