ARTE

sabato 29 Ottobre, 2022

Un viaggio tra fiaba e mito: al Mart due nuove mostre sui pittori Mantovani e Funi

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Il Sogno di Ferrara, la prima mostra antologica su Adelchi-Riccardo Mantovani, e il focus (Il volto, il mito) dedicato ad Achille Funi saranno visitabili fino al 5 febbraio. Tra le opere esposte, presenti due inediti ritrovati di recente

Arrivano al Mart Il Sogno di Ferrara, la prima mostra antologica su Adelchi-Riccardo Mantovani, straordinario pittore, disegnatore e il focus (Il volto, il mito) dedicato ad Achille Funi, uno dei protagonisti e fondatori del Novecento Italiano. Entrambe le rassegne, presentate dal presidente del Mart Vittorio Sgarbi oggi, sabato 29 ottobre, sono già visitabili. Resteranno aperte al pubblico fino al 5 febbraio, dal martedì alla domenica, dalle 10.00 alle 18.00.

La prima esposizione, curata da Beatrice Avanzi e in collaborazione con Fondazione d’Arte Ferrara, omaggia la produzione di Mantovani con più di 100 opere tra disegni e dipinti tra che ne ripercorrono la carriera in ordine tematico e cronologico. Nato in provincia di Ferrara nel 1942, Adelchi-Riccardo Mantovani, dopo essere rimasto orfano, in giovane età si trasferisce in Germania per poi stabilizzarsi a Berlino: è qui che avviene il suo incontro con l’arte, grazie agli studi di storia dell’arte, le scuole serali di pittura e le prime mostre collettive. La sua produzione artistica si distingue per un legame a doppio filo con il mondo onirico e fiabesco: nelle opere di Adelchi-Riccardo Mantovani si respira l’anima delle fiabe e dei luoghi dell’infanzia, ci s’imbatte nei personaggi del mito classico grazie a una profonda sinergia tra antico e moderno, tra la pittura del Quattrocento e il pensiero del Novecento. È un’arte, quella di Mantovani, che è emblema della metafisica (e che quindi ci riporta alla produzione di De Chirico), eco di un tempo sospeso, di un incontro tra anima e sogno, tra simbolico e popolare. Le opere d’arte di Mantovani sanno narrare la realtà con un tocco di fantastico. Sono profondamente connesse con i suoi natali (quindi Ferrara), ma anche con il luogo dove è emigrato e ancora adesso vive, cioè Berlino. Qui ha portato i ricordi della sua infanzia, qui ha sublimato emozioni, sensazioni, ricordi conferendo loro una forma. «Come tutti i veri artisti, egli sa che il suo compito è far vivere la materia, trasformare i colori in carne, foglie, architetture; dare corpo ai sogni. Il pittore è come un santo (e pochissimi lo sono): deve fare miracoli» si legge nel catalogo dedicato alla mostra.

Il focus è invece curato da Nicoletta Colombo e Daniela Ferrari ed è dedicato ad Achille Funi, scomparso cinquant’anni fa. Chi era Achille Funi? Si tratta di un artista di nascita ferrarese e di adozione milanese, dove studiò nel 1906 all’Accademia di Brera (a soli sedici anni). È proprio qui a Milano che Funi diventa esponente del futurismo moderato. Era molto apprezzato da Boccioni che arriva a definirlo in un articolo autore fortissimo; perché Funi è tra i primi in Italia a intravedere l’importanza di Cezanne, di cui adotta l’esempio di costruttore delle forme, cioè di architettura della forma e quindi di ricomposizione delle forme.

Questa qualità di Funi, artista d’impianto e DNA classico (che gli arriva dalla Grecia antica, da Roma, dal Rinascimento), lo rende protagonista in ambito italiano della ricostruzione delle forme. Con Mario Sironi ed Emilio Malerba diventa uno dei fondatori del Novecento Italiano, la corrente artistica ideata dalla studiosa e mecenate Margherita Sarfatti. Sironi e Funi sono inoltre stati i migliori rappresentanti del muralismo, dell’affresco in area italiana ed europea. Funi impara ad affrontare il muro dai muratori di Bergamo, recuperando le tecniche dell’arte muratoria diventando così maestro dell’affresco.

Il suo approccio artistico, che si distingue anche per una conoscenza analitica del corpo umano, affronta la modernità con occhio antico: Achille Funi viveva in una realtà sovra storica. Per questo le curatrici Colombo e Ferrari hanno scelto due temi centrali per omaggiarlo nel percorso espositivo. Il primo è il volto, perché Funi era ossessionato dal corpo umano; sosteneva infatti che chi non conosce il corpo umano non conosce la geometria della vita. La geometria della vita è lo spazio pittorico per un artista ed è calcolato attraverso la misura, la profondità, la prospettiva. Funi era un creatore di spazi e di ritmi. E per tale ragione in mostra troviamo una sequenza di volti ritratti secondo il canone classico: sono personaggi della sua quotidianità, come la sorella o l’amico Montale.

Funi e il mito

Il secondo tema è il mito. Funi è stato un grande trasfiguratore della storia: per lui la storia conta meno del mito perché ha un limite cronologico. Il mito invece sa spaziare nel racconto dove l’artista può dare forma alla favola della realtà che si traduce nel mito. Funi, da operaio sognatore (così lo definiva De Chirico in uno scritto degli anni ’40), era sì in grado di esaltare la manualità e la sapienza del comporre, ma al tempo stesso di raccontare attraverso l’arte la sua mente popolata di miti (come quello di Adone, Didone abbandonata, Saffo): per Funi si trattava di vivere in un mondo che aspirava alla bellezza e alla perfezione col fine di rappresentare un’eternità secolarizzata e una realtà invece idealizzante al di là e al sopra della storia.

La presenza di queste opere ci suggerisce che ci troviamo da un lato di fronte a opere storiche, che fanno parte dell’iconografia del Novecento Italiano e altre ad opere dedicate alla ri-narrazione del mito. Infine, tra le opere ne vanno menzionate due inedite, recentemente ritrovate: un autoritratto del ’20, che era andato disperso subito dopo essere stato esposto a Milano in una galleria sperimentale, e la Venere del ’26 ritrovata da Daniela Ferrari a Lugano al Museo Cantonale.