L'opinione

venerdì 25 Novembre, 2022

Tomazzoni: «La Cop27? Una fiera dell’ipocrisia ecologica»

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L'ex assessore all'urbanistica di Rovereto fa il punto: «Non si è parlato di guerra in Ucraina e del danno ambientale che ogni scoppio rappresenta e dei mondiali in Qatar, spreco di energia e soldi»

Nel recentissimo (n-simo) incontro tra i grandi della Terra “per il clima” a Sharm El Sheikh in Egitto, una volta di più è andato in scena il festival dell’ipocrisia. Pareva che qualche passetto avanti ci potesse essere, grazie soprattutto all’atteggiamento degli USA che pur restando nella sfera delle promesse e degli intenti, ha rappresentato un cambio di approccio rispetto al negazionismo dell’amministrazione Trump. Invece il punto nodale di tutto l’incontro, che ha provocato tensioni e necessitato una difficile mediazione, è diventato il ristoro economico da versare ai paesi che hanno “subito” gli effetti della variazione climatica. Tutto viene tradotto in denaro, come se i soldi fossero in grado di cambiare la tendenza del clima. Come se i paesi produttori, pur di continuare a produrre con ugual ritmo, siano disposti a pagare un po’ di più le materie prime a quei paesi che oggi sono sfruttati. Magari sostituendo il petrolio col gas e un po’ di pannelli fotovoltaici, sul cui ciclo di vita iper-inquinante è opportuno per il momento stendere un velo pietoso. Perché si è parlato di sostituzione non di risparmio. Di modi (apparentemente) meno inquinanti per produrre comunque sempre più energia. La de-carbonizzazione per risolvere il problema della CO2, non di tutti gli altri tipi di inquinamento dovuti in gran parte alla frenetica ricerca di energia, All’eccesso di energia che come effetto collaterale produce consumo di suolo, impermeabilizzazione, uso delle acque, sfruttamento intensivo di materie prime ecc. ecc.)
Ma nulla si è detto soprattutto, di quanto sta avvenendo in due luoghi in contemporanea e neppure tanto lontano da Sharm El Sheikh, in fatto di inquinamento e vero e proprio disastro ambientale: la guerra in Ucraina ed i mondiali di calcio in Qatar. Sono esempi contrapposti di come dramma e spensierata incoscienza siano oggi i principali nemici del clima e della Terra. Curiosamente equidistanti dalla conferenza di Sharm El Sheikh, entrambi questi eventi l’hanno fanno apparire ancora più surreale di quel che è stata.
Da una parte gli echi delle bombe avrebbero dovuto ricordare che oltre al drammatico carico di distruzione e di vittime, il danno ambientale che ogni scoppio rappresenta è gigantesco. Un calcolo che neppure è stato sussurrato. Dall’altra parte, in Qatar, va in scena quella che dovrebbe essere una festa dello sport con tutto il seguito di valori morali e sociali che dovrebbe portare con sé, ma che appare come uno spettacolo sempre più artefatto, stereotipato, insensibile agli aspetti sociali, sempre più iper-consumistico con uno spreco di energia e soldi da far impallidire ogni forma di risparmio e razionamento. Con buona pace di ogni piccolo sforzo che faticosamente molti di noi cerca di attuare per contribuire al clima ed alla salute collettiva.
Ma in Egitto i grandi della Terra si son trovati a parlare del clima futuro, ovvero di cosa fare per evitare il collasso climatico incombente dovuto agli effetti di uno scriteriato utilizzo delle risorse del Pianeta da parte dell’uomo. Evidentemente non hanno toccato il problema del presente. Non solo rinviando ancora i termini temporali dell’inizio degli interventi, ma soprattutto cechi verso quel che sta avvenendo nonostante un fragore sia reale che mediatico impossibile da evitare.
Così come le bombe rappresentano il disprezzo verso la vita e non si pongono neppure il problema dallo strascico di distruzione presente e futura che esse provocano, uno stadio di calcio aperto e con aria condizionata è il simbolo stesso di come si possa disprezzare smaccatamente il tema del cambiamento climatico, mostrando al resto mondo che il problema dell’inquinamento globale riguarda i poveri. Cosa importa il costo in vite umane per arrivare ai gioielli tecnologici rappresentati dagli stadi? I soldi possono comperare anche questo, dimostrando che tanto col denaro possiamo aumentare l’aria condizionata e giocare in un ambiente asettico iper-energivoro completamente artificiale di cui il costo reale lo pagheranno le future generazioni. Un peccato che lo sport non si ponga questi problemi, che riguardano anzitutto l’etica e che dovrebbero rappresentare il valore fondante di ogni sport: equo, solidale e giusto.
Oltre lo sprezzo rappresentato da questi eventi a finalità contrapposta (uno che divide, l’altro che dovrebbe unire), nell’atteggiamento dei grandi inquinatori della Terra a prevalere è sempre il concetto di «sostituzione» riferito alle fonti energetiche, senza mai parlare di razionalizzazione o risparmio. Entrambi queste azioni richiedono un’etica che benché sia già presente nella Carta dei diritti universali e sia stata richiamata più volte da papa Francesco, non traspare. Si tratta di redistribuire equamente le risorse e concepire un senso del limite che oggi non è compatibile con una società che fa della crescita dei consumi non solo il proprio obiettivo primario, ma anche il valore cui tendere per una ricerca di felicità individuale.
L’emergenza del 2020-22 col combinato pandemia-guerra-siccità, è stato affrontato con proposte tampone tradotte in provvedimenti chiamati di «risparmio». Ma quello che è stato fatto non è stato un risparmio, ma un razionamento. I due termini non combaciano, e risparmio è usato impropriamente poiché esso è termine dal significato economico. Diversamente dal razionamento, il risparmio non è necessariamente negativo: oltre a portare benefici alle tasche dei cittadini, porta facilmente verso l’opportunità. Serve però investire in ricerca ed innovazione. Si può abbinare anche ad equità con la razionalizzazione ed una equa e corretta distribuzione. Si concilia anche con la transizione ecologica, ed anche in questo caso servono investimenti ed una pianificazione lungimirante, che può portare effetti nell’immediato ma soprattutto in prospettiva, sì da farci uscire dall’emergenza. Non si concilia mai col consumismo. Soprattutto se questo viene fatto apparire artatamente come l’unico fine per raggiungere la felicità.