IL LIBRO

domenica 11 Dicembre, 2022

Sci, sotto i duemila non c’è futuro: oltre 100 stazioni a rischio estinzione

di

Maurizio Dematteis e Michele Nardelli, autori di «Inverno liquido»: «Occorre diversificare; puntare sulla biodiversità è un'alternativa per il turismo»

Un lungo reportage durato tre anni per raccontare, attraverso le testimonianze di imprenditori, amministratori locali, operatori del turismo e amanti dello sci, cosa sia rimasto oggi della stagione dello sci di massa nelle piccole e medie realtà delle Alpi e degli Appennini.

Una straordinaria e lucida fotografia che documenta, con i cambiamenti climatici in atto, il declino ormai segnato per numerose località sciistiche. Dove però stanno nascendo anche percorsi di riconversione, con tanti giovani consapevoli che occorre puntare su uno sviluppo turistico in armonia con l’ambiente naturale. È questo il cuore pulsante di «Inverno liquido», un libro documentatissimo e coinvolgente, scritto dal giornalista e scrittore torinese Maurizio Dematteis e dal formatore e saggista trentino Michele Nardelli, edito da «DeriveApprodi». Il libro sarà presentato al Muse martedì 13 dicembre alle 17.30.

Un libro corale, perché dà voce al racconto di tanti testimoni della montagna che stanno assistendo alla scomparsa di un mondo che fino a oggi ha rappresentato per molte località l’unica fonte di sviluppo. Un declino davanti al quale si rimane spesso disorientati, incapaci di cambiare rotta, ma che in altri casi ha rafforzato la voglia di cambiare, puntando, insieme allo sci, a nuovi modi di valorizzare la montagna.

«Io amo e pratico lo sci – racconta Maurizio Dematteis –. Frequento questo mondo anche per lavoro e viaggiando lungo le stazioni sciistiche dell’Italia mi sono reso conto di come per molte realtà non ci sia più futuro. E quindi ho capito che in qualche modo bisognava allertare le persone, suonare per così dire le campane, scattando una fotografia della situazione per aumentare la consapevolezza su ciò che sta avvenendo». E la foto scattata ha fatto emergere una realtà italiana con 349 stazioni sciistiche attive (con almeno cinque impianti di risalita) e 6.700 chilometri di piste. Un centinaio di queste stazioni, secondo l’analisi degli autori, con un demanio sciabile sotto i duemila metri di altitudine, sono sulla soglia di estinzione.

Valutando anche i luoghi con meno di cinque impianti di risalita, il totale degli impianti sale a 2.157, con 418 località sciistiche molto piccole, di cui la maggior parte, per «l’inverno liquido«, destinate a chiudere. «Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che l’inverno liquido non è riconducibile a una stagione sfortunata – commentano Nardelli e Dematteis –, bensì a un contesto inedito e denso di incognite. Che richiede certo capacità di resilienza ma, soprattutto, di ripensamento e di cambiamento».

Un cambiamento che in molti casi stenta ad arrivare. Perché? «Perché le cose stanno cambiando sotto i nostri occhi senza avere gli strumenti culturali per capire ciò che sta avvenendo – spiega Nardelli –. I tempi biologici stanno correndo più velocemente delle nostre vite: un esempio in questo senso è il ghiacciaio della Marmolada che durerà ancora per 15-20 anni al massimo. L’estinzione di un ghiacciaio rappresenta la fine di un ecosistema che viveva almeno da 14 mila anni: dall’ultima grande glaciazione. Questo significa che noi stiamo vivendo, nelle nostre esistenze, dei processi di trasformazione che hanno una rapidità che rovesciano il tradizionale disallineamento tra tempi storici e tempi biologici, creando per noi un problema di comprensione».

Ci sono altri tre problemi. «Innanzitutto, l’indotto dello sci fa girare ancora tanti soldi – aggiunge Dematteis –. Ci sono stazioni di grandi dimensioni che avranno, come dice Luca Mercalli, ancora 30 anni di futuro. Dal punto di vista economico sono tanti, ma per una comunità no. Altri due problemi sono la paura e l’ignoranza per i cambiamenti culturali che, nei passaggi epocali, come quello che stiamo vivendo, sono difficili. Per questo con Michele siamo andati alla ricerca di idee che stanno nascendo nei territori per farle conoscere e creare una coscienza collettiva per il cambiamento».

E di idee nuove, nel loro viaggio, i due scrittori ne hanno trovate diverse, come quella della piccola località turistica di Prali, in provincia di Torino, dove una seggiovia storica, la «13 laghi», giunta a fine vita è tornata a essere il volano per l’economia della comunità costituita da appena 60 famiglie, di cui 30 con un’attività economica legata all’impianto di risalita. «La cosa straordinaria di questa storia – dice Dematteis – è il fatto che dopo la ristrutturazione, la gestione della seggiovia è stata assunta, in forma di consorzio, da tutte le persone del luogo che avevano un’attività economica e lo hanno fatto non puntando solo sullo sci invernale, ma estendendo l’apertura dell’impianto a tutto l’anno, realizzando delle piste di mountain bike e downhill.

Questa iniziativa ha poi creato le condizioni favorevoli per la nascita di quattro aziende agricole, l’apertura del turismo ai motociclisti, l’affitto delle seconde case non utilizzate per i fine settimana, attraendo nel piccolo paese anche sei giovani che hanno dato vita ad altrettante attività economiche. Questa esperienza dimostra come una delle strade da seguire sia quella della diversificazione e soprattutto quanto e cosa può fare una comunità quando decise di muoversi insieme».

Storie di resilienza, quindi, da cui si possono prendere spunti per cambiare rotta, non abbandonando necessariamente lo sci, ma puntando sulle grandi potenzialità della montagna. «Siamo consapevoli dell’importanza economica e sociale che ha lo sci alpino nello sviluppo delle comunità – conclude Nardelli –, ma è necessario prepararci a un suo ridimensionamento ineludibile e pensare a quali alternative si possono trovare per reagire. L’alternativa è rappresentata dai tesori di biodiversità della montagna che vanno conosciuti, coltivati e valorizzati, aprendo una marea di opportunità di lavoro. Un lavoro di qualità che dà anche il senso della vita delle persone. È inutile accanirsi in maniera terapeutica su luoghi che non hanno futuro: la disponibilità d’acqua è sempre minore, l’energia è sempre più cara e lo diventerà ancora di più nei prossimi anni. Le risorse naturali non sono infinite, questa consapevolezza dovrebbe portarci ad avere un altro approccio con la natura, riscoprendo la cultura del limite».