Tribunale

giovedì 10 Novembre, 2022

Rivolta in carcere, in più di 40 finiscono a processo

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Filippo Fredrizzi (camera penale): «Sia un momento di riflessione per tutti, nella struttura di Spini di Gardolo mancano medici ed educatori»

Sommossa nel carcere di Spini di Gardolo. Oltre quaranta detenuti– metà circa degli 81 imputati – dovranno affrontare il processo davanti al tribunale collegiale di Trento a partire dal 6 luglio 2023, per rispondere a vario titolo dei reati di danneggiamento, incendio, violenza e minaccia a pubblico ufficiale e lesioni. Ulteriori sette ieri sono usciti di scena con un patteggiamento, con pene che vanno dagli otto ai dodici mesi di reclusione. Quattordici imputati invece hanno chiesto, per il tramite del loro avvocato, di essere processati con rito abbreviato, che prevede lo sconto di un terzo della pena in caso di condanna. La discussione è prevista per il prossimo maggio. Per un altro imputato invece il giudice per l’udienza preliminare ha pronunciato sentenza di non luogo a procedere. Il suo legale ha infatti dimostrato che non aveva partecipato alla violenta rivolta avvenuta nella struttura penitenziaria cittadina il 22 dicembre 2018. Così come era stato per altri detenuti per i quali le accuse erano cadute già in fase di indagini preliminari.
Dalla lista degli 81 per i quali il procuratore Sandro Raimondi e il sostituto Antonella Nazzaro, a fine 2019, avevano chiesto il processo, vanno scomputate alcune posizioni, stralciate nelle precedenti udienze, mentre altre nove sono «congelate» in quanto le persone risultano irreperibili, ad oggi irrintracciabili. Gli imputati sono tutti stranieri — cittadini tunisini, marocchini e albanesi, ad eccezione di due italiani — che devono rispondere di aver messo a ferro e fuoco le sezioni del carcere: una rivolta scoppiata dopo che si era diffusa la notizia del suicidio di un 32enne, che di lì a qualche mese sarebbe tornato libero. L’ennesimo che si era tolto la vita durante la detenzione a Spini di Gardolo. Di qui i cancelli fatti risuonare a suon di colpi, l’incitazione di alcuni alla rivolta, la saletta ricreativa della sezione F data alle fiamme, le telecamere di videosorveglianza messe fuori uso, assieme poi a plafoniere e luci. Una rivolta che si era poi allargata anche al secondo piano e alle sezioni G e H con minacce, piatte e bombolette lanciati. Una guerriglia sedata solo dopo lunghe trattative, con l’intervento di questore e commissario di governo. Le difese di alcuni degli imputati ieri davanti al giudice hanno voluto evidenziare come quella sommossa è da contestualizzare, da analizzare sulla base della situazione allora in essere. Una reazione motivata — è quanto esposto dai legali — dal grave stato di sofferenza e disperazione dei detenuti al fenomeno dei suicidi (sei in sei anni).
Un aspetto, questo, sottolineato anche dall’avvocato Filippo Fedrizzi, che assiste alcuni degli imputati e che è presidente della camera penale di Trento. «Non dimentichiamoci quello che è successo nel 2018. Che questo processo sia un momento di riflessione per tutti — dichiara — Di cambiamenti promessi ce ne sono stati ma se sono stati fatti dei passi in avanti è anche vero che ora siamo ripiombati in una situazione delicata in cui mancano medici (ce ne sono solo due dei cinque previsti), ed educatori». Educatori che sono due invece che otto, così come evidenziato anche in seguito al sopralluogo in carcere, di pochi giorni fa, del presidente della Provincia Maurizio Fugatti.