Il reportage

giovedì 12 Gennaio, 2023

Riva del Garda, viaggio nel Rione 2 giugno: «Portate qui i mercatini per darci vitalità»

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Il viaggio nel quartiere. 5mila abitanti, oltre la metà nelle palazzine Itea: cuore operoso di Riva, tra caro bollette, videosorveglianza e identità da rinsaldare

Quasi nessuno più lo chiama «Peep», acronimo di Piano Edilizia Economico Popolare, e nessuno ha mai usato il suo nome completo «Rione Due Giugno 1946». Per i suoi residenti è solo «Rione»: una piccola città di circa 5mila abitanti, costruita a metà degli 70 per la crescente richiesta di abitazioni popolari a Riva del Garda. Il progetto, con le sue case Itea e le cooperative, fu firmato dagli architetti Eugenio Gentili Tedeschi e Gianni Calzà – quest’ultimo, torbolano di origine – che pensavano il quartiere verde e del tutto pedonale. Per allora, un’avanguardia. Oggi Rione Due Giugno è molto più delle sue sei palazzine per 400 appartamenti e le cooperative: è una piccola città nella città di Riva del Garda e in qualche modo ne è il motore. «Alla fine, le persone che abitano qui sono quelle che tengono in piedi l’economia, soprattutto stagionale – dirà il fiduciario Itea Nicola Bonomi, durante una mattina passata nel quartiere. E allora Rione, dopo mesi di cattiva stampa dovuta a episodi di microcriminalità, torna ad esprimersi con le parole di chi ci abita e ci lavora.
Società in evoluzione
Nicola Bonomi, fiduciario Itea da 15 anni, fronteggia ogni giorno, dal suo ufficio in galleria Mimosa, i problemi degli inquilini. «Negli anni 70 qui le famiglie erano tutte uguali, monoreddito, giovani con figli – racconta – ora invece è cambiato il modello sociale, la tipologia di utenti è diversa, i giovani sono pochi, e spesso sono di origine straniera. Negli ultimi tempi è aumentata la conflittualità». Uno dei recenti problemi del Rione, soprattutto per i circa 3mila residenti Itea, è il caro energia, che ha fatto schizzare alle stelle le bollette di luce e gas. «Ora c’è in atto la costituzione di un comitato di utenti» spiega Bonomi. Fronte comune sui problemi: a Rione è sempre stato così, dice Paolo Bassetti, parrucchiere, nel quartiere dal 1988, in prima linea per coltivare il tessuto sociale di Rione.
«Dov’è il degrado?»
«Prendiamo la sicurezza. – dice Bassetti – Mesi fa è venuto un fotografo toscano per fotografare il degrado. Ha fatto un giro, poi ha detto “ma dov’è il degrado?”». Il tempo è ciclico: di Rione come un «Bronx», si è già parlato negli anni addietro. «Ogni volta la risposta ai problemi è venuta dal basso, dal quartiere, perché c’era una rete. Il covid ha rotto questa rete, e ora dobbiamo ricucire» continua Paolo Bassetti. Di recente sono state installate due telecamere per la videosorveglianza della galleria Mimosa. Le forze dell’ordine presidiano anche con personale in borghese. «Ora sono tranquilla anche se torno a casa quando alle 5 di pomeriggio è già notte – dice una signora di 88 anni, che non vuole il suo nome pubblicato ma che plaude al lavoro dei mesi scorsi e chiede «più illuminazione tra le palazzine, perché la sera in certi angoli non si vede niente».
Tempi duri
Dalmazio Scopini vive a Rione dal 1976. Scavatorista per una vita, ora in pensione. Ha contribuito alla realizzazione del parchetto comunale a fianco delle scuole Scipio Sighele. «I ragazzi giovani sanno comportarsi bene, – dice – basta parlare con loro. Se danno fastidio, si mandano via. Loro ascoltano». Scopini è un residente storico del quartiere e conferma che il cambio nella società si nota molto. Facendo un giro al bar, il titolare, Ilir Hasa, aggiunge che «a livello economico, una volta era diverso. Oggi è dura, se continua così non so quanto ancora resterò aperto. Non ci sono soldi. Ho smesso di fare eventi come il karaoke per colpa del covid, e ora non lo faccio perché costa. C’è poco lavoro». La clientela è del posto. «Ma con queste bollette…è dura per tutti» dice il signor Hasa.
Un «oratorio laico»
L’aggregazione sociale è essenziale. Rione è l’unico quartiere senza una chiesa, un oratorio: ritrovi importanti al di là del credo religioso. «Ci piacerebbe che la palazzina Mimosa diventasse il nostro oratorio laico. Soprattutto i giovani hanno bisogno di proposte che intercettino i loro interessi» dice ancora Bassetti. L’offerta sportiva c’è: al centro sportivo Malossini ci sono campi da calcio, basket e rampe per lo skate gestite dall’associazione Go Fast, che in zona è punto di riferimento anche educativo. Però non tutti gli adolescenti trovano risposte nello sport. Serve un ventaglio di attività più ampio, che includa l’informatica, le arti visive – dice Paolo – ma anche la radio e la musica trap. «Sarebbe bello un progetto di web radio gestita dai ragazzi, per raccontare questo quartiere, perché su 5mila persone di storie ce ne sono tante, e si potrebbe così catalizzare l’interesse di tanti per la musica trap, ad esempio, magari con le scuole di musica. Per tutti i residenti si potrebbero creare anche degli orti comunali, dove ora ci sono le serre del Comune».
L’edicolante in galleria Mimosa, Alberto Calzà, dal 2013 osserva il quartiere. «Ci vorrebbero degli eventi, nel piazzale Mimosa – dice – ad esempio un mercatino, che porti movimento. E sarebbe bello un nuovo arredo urbano». Infine, si chiede anche un collegamento con la ciclabile a nord del quartiere. Ma, conclude Bassetti, «soprattutto vorremmo un Rione che torna a rispondere alle proprie esigenze, senza aspettare l’intervento da fuori».