Economia

domenica 22 Gennaio, 2023

Rincari, chiuse 45 stalle in un anno

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L’agricoltura trentina conta 7.285 imprese. Coldiretti: il dieci per cento è a rischio

Almeno un decimo delle aziende agricole trentine è in serie difficoltà per l’aumento di costi dell’energia e degli altri prodotti necessari alla coltivazione e all’allevamento, dai concimi ai mangimi. D’altra parte gli aumenti dei prezzi dei prodotti venduti, che i consumatori sperimentano tutti i giorni nei negozi e nei supermercati, non sono un ristoro per i produttori: a loro va una quota minore dei rincari, spesso insufficiente a coprire l’aumento dei costi. Complessivamente in provincia abbiamo 7.285 imprese agricole, per cui le aziende in difficoltà sono almeno 700.

Ma c’è un settore particolarmente colpito dalla crisi: dall’inizio del 2022 hanno chiuso 45 stalle su circa 800 allevamenti bovini totali. L’accelerazione c’è stata proprio nell’ultimo mese, quando si tirano le somme dell’anno appena trascorso: dodici stop di aziende individuali e familiari dall’inizio di quest’anno, il doppio di quanto accadeva negli anni precedenti.

L’allarme era stato lanciato da Coldiretti in base alle analisi del Crea, il Consiglio per la ricerca in agricoltura: l’aumento dei costi colpisce l’intera filiera agroalimentare a partire dalle campagne, dove più di una azienda agricola su dieci è in situazione critica e oltre un terzo è costretta a lavorare in condizioni di reddito negativo per effetto dei rincari. Aiuta l’appartenenza a cooperative e consorzi che in parte, ma solo in parte come si vede nel caso del lattiero-caseario, possono sopperire all’aumento dei costi e sostenere i produttori.

«Negli ultimi tempi alcuni costi sono calmierati, ma l’inflazione resta alta – dice il presidente di Coldiretti Trentino Alto Adige Gianluca Barbacovi – A questo si aggiunge l’aumento dei tassi di interesse deciso dalla Bce che rende più costosi i prestiti bancari. Il credito per noi è fondamentale». La situazione più difficile è quella della zootecnia, ma non mancano problemi nemmeno nei settori esportatori come il vino e le mele. «Nel vitivinicolo pesano gli aumenti importanti dei trasporti dovuti al caro carburanti – sottolinea Barbacovi – Per la spedizione di un container oltre oceano c’è stata una vera esplosione dei costi». Nel ramo frutticolo il problema principale sono i costi della frigoconservazione e quelli del packaging.

Secondo Coldiretti, rispetto alla situazione pre-crisi si registrano aumenti dei costi di produzione che vanno dal +170% per i concimi al +90% per i mangimi, dal +129% per il gasolio fino al +500% per le bollette per pompare l’acqua per l’irrigazione dei raccolti. Ma aumenti riguardano anche i contenitori dei prodotti agro-alimentari: il vetro costa oltre il 50% in più, il tetrapack il 15% in più, il 35% le etichette, il 45% il cartone, il 60% i barattoli di banda stagnata, fino al +70% per la plastica.

A fine 2021, ultimo dato disponibile, le imprese agricole iscritte all’Archivio provinciale Apia sono 7.285, in calo di 211 unità sull’anno precedente. Il trend di diminuzione è costante negli ultimi anni. Tra le aziende, 2.879 sono frutticole, 1.425 vitivinicole e 1.130 coltivano sia uva da vino che altra frutta. Poi ci sono 1.015 attività zootecniche.

Considerando solo l’allevamento di bovini da latte, nel 2022 in Trentino hanno cessato l’attività 33 aziende. Nel 2021 le cessazioni erano state 36, nel 2020 erano 31. D’altra parte ci sono anche nuove iscrizioni. All’inizio di quest’anno, però, c’è stata un’accelerazione: 12 stalle chiuse in venti giorni, i numeri maggiori in Val di Non, con quattro cessazioni, e Valsugana, con altre quattro. Nello stesso periodo dell’anno scorso le chiusure erano state 5, nel gennaio 2021 se n’erano contate 6. Alcune cessazioni di attività sono fisiologiche: va ricordato che dal 2019 al 2021 le aziende zootecniche sono scese da 1.029 a 1.015. Ma ora i numeri sono nettamente più elevati.

Per il latte gli allevatori trentini ricevono di più dei colleghi delle altre regioni. Nel 2021 ai soci di Latte Trento è stato riconosciuto un valore di 56,5 centesimi al litro. Ma già a primavera i costi di produzione erano arrivati a 52 centesimi e poi li hanno superati. Gli aumenti di prezzi all’origine non sono sufficienti a coprire l’aumento dei costi. Secondo l’Ismea, il prezzo all’origine del burro a dicembre 2022 è di 4,31 euro al chilo, il 6% in più di un anno prima. All’ingrosso, il burro trentino arriva a 7,45 euro al chilo, il 38% in più in dodici mesi. Al dettaglio, un chilo di burro a Trento costa in media 10,38 euro, il 47% in più del 2021. Non per tutti i prodotti è così. Ma troviamo situazioni simili anche al di fuori del lattiero-caseario: a dicembre il prezzo di origine delle mele Golden delicious era del 2,6% inferiore a quello di un anno prima.