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giovedì 1 Giugno, 2023

Rensi, il fotografo che «catturò» il Trentino quando stava per finire

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L’indimenticato maestro immortalò un’intera epoca. Il racconto di Paolo Ghezzi

Un giorno d’estate. Un mulo ad occhi socchiusi, stracco di caldo. Sembra vegliare un giovane contadino che dorme, crollato sopra il suo bastone, gli scarponi e il cappello al suo fianco. Un’immagine da Cavalleria rusticana, da qualche terra assolata del nostro Sud sprofondato nel Mediterraneo. O da Barbiana di don Milani, il maestro dei diseredati.
E invece è ancora il Trentino rurale degli anni Cinquanta, che la Rollei di un maestro della fotografia come Rodolfo Rensi sapeva catturare nel nitore del suo classico bianconero e che ci ha consegnato in fotogrammi inobliabili. Nelle Immagini 1946-1975, catalogo della mostra organizzata nel 1992 dal Circolo fotocineamatori trentini G.B. Unterveger, ci sono non pochi capolavori.
Il trentennio postbellico, dunque, dalla povertà del dopoguerra all’industrializzazione degli anni Settanta. Rodolfo Rensi, classe 1913, morto nel 1975 quando era presidente provinciale degli Artigiani, era un signore gentile, riservato, un sorriso intelligente che si rivede nei figli Claudio e Paolo, nel nipote Matteo che continua l’arte di famiglia. Tecnico radiologo, arruolato nella sanità militare già nel 1935, aveva documentato la guerra mondiale in Grecia, Albania e Jugoslavia. Finita la guerra, era succeduto a Sergio Perdomi come fotografo della Sovrintendenza alle belle arti ma non disdegnava i servizi di cronaca per i giornali di allora.

La neve sul lago di Piné (e sullo stesso lago una pattinatrice col gonnellino roteante, radiosa come una stella del cinema), un parafulmine a forma di scheletro su un campanile di Rendena, due bambine lavandaie a Preore, la raccolta delle patate a piedi nudi nella terra scura, una vecchina devota davanti alla Madonna degli annegati del Duomo, un’altra – anche lei insciallata di nero come una calabrese – curva su un libriccino, davanti ai sassi antichi delle mura di piazza Fiera… E ancora l’alluvione del 1966, e ancora i suoi bellissimi ritratti di uomini e donne senza nome: Rensi fotografa l’anima di un Trentino che sta per essere consegnato alla storia, agli archivi del passato, con uno sguardo mai invadente ma invece rispettoso e consapevole.
Ha ragione Franco de Battaglia quando nell’aprire il catalogo scrive: «È il fotografo che ci insegna come ripartire dopo le grandi tempeste e le lacerazioni, come recuperare vita nel raccontare le cose, le storie, i paesi: ponendosi dentro di loro, non giudicando, con i flash della propria arroganza, dal di fuori».
C’è una foto che fa da controcanto al contadino e al suo mulo fuori dal tempo: è l’addetto all’Aeroporto di Gardolo, preso di spalle, tuta bianca e bandiera a scacchi, che segnala la posizione a un aeroplano che sta atterrando. Come il simbolo della nuova autonomia, dell’incipiente ricchezza. Sembra un inizio. Del futuro.