La cerimonia

domenica 6 Novembre, 2022

Pinzolo riabbraccia il «suo» don Ivan. E il Comune gli consegna la cittadinanza onoraria

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Il ritorno a casa dell’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve. La celebrazione, l'accoglienza in festa della comunità e il conferimento del sindaco Cereghini. «Non è un regalo che facciamo a lui, è lui che ha fatto un grande dono a venire da noi»

Due mesi fa la val Rendena ha perso un suo concittadino illustre. Ivan Maffeis, 59 anni il 18 novembre, vescovo e giornalista, è stato costretto a trasferire la residenza da Pinzolo a Perugia. Non lo aveva fatto nei dieci anni trascorsi a Roma con crescenti gradi di responsabilità alla CEI (la conferenza dei vescovi italiani), lo ha dovuto fare dopo la nomina (e la consacrazione) ad arcivescovo metropolita di Perugia-Città della Pieve.
Del resto lo aveva pur previsto il Concilio di Trento (1545-1563) decretando l’obbligo di residenzialità dei vescovi i quali, fino a quel momento, erano titolari di una diocesi e magari se ne stavano alla corte del Papa o dell’Imperatore.
Ecco perché oggi il comune di Pinzolo ha conferito a mons. Ivan Maffeis la cittadinanza onoraria.
Lo ha annunciato il sindaco Michele Cereghini, dopo la messa che mons. Maffeis ha celebrato per la sua comunità d’origine, nella chiesa settecentesca di San Lorenzo. Qui fu battezzato nell’inverno del 1963 e fu accolto prete nell’estate del 1988. Anche oggi, come allora, un grande arco con rami d’abete, per accogliere il «novello vescovo», arrivato alla chiesa dalla vicina canonica, tra due ali di folla, l’applauso e la commozione dei suoi compaesani. Sulla porta della chiesa la scritta: «Per voi sono vescovo con voi sono Cristiano». Davanti all’ingresso le donne del paese hanno realizzato un tappeto di fiori con lo stemma è il motto pastorale del vescovo Ivan.
Il corpo bandistico di Pinzolo accompagna il corteo, dentro la chiesa tutte le associazioni e cinque cori ad accompagnare col canto la messa prima, da vescovo, qui a Pinzolo di questo figlio della terra di Rendena. Terra di emigrazione, di fatica, di affetti perduti e ritrovati.

Tutti lo chiamano «don» Ivan. Qualcuno, i più anziani, premettono con soggezione e deferenza quel titolo di «monsignore» al quale Ivan, l’amico di tutti, «il consolatore degli ammalati», come dice una signora che è stata a lungo vicina di casa, dovrà abituarsi.
Lui non voleva i festeggiamenti che il Consiglio pastorale di Pinzolo ha preparato, voleva un incontro in tutta semplicità, un riannodare di affetti mai interrotti, un abbraccio e una stretta di mano con tutti coloro che non hanno potuto raggiungere Perugia l’11 settembre quando Ivan è diventato arcivescovo.
«Non è un regalo che facciamo a lui, è lui che ha fatto un grande dono a venire da noi» sottolinea il sindaco Cereghini.
E la visita dall’arcivescovo Ivan a Pinzolo (è arrivato ieri in tarda mattinata ma nel pomeriggio di oggi riparte per Perugia) non può essere rubricata come il ritorno del «figliol prodigo» del Vangelo. Perché – raccontano i suoi compaesani – Ivan è sempre stato qui. Anche quando era a Roma, tornava a casa tutti i fine settimana. Per abbracciare la mamma Licia Binelli, morta il 20 gennaio 2020, e poi correre a Sant’Antonio di Mavignola dove, per anni, ha fatto il cappellano del parroco di Madonna di Campiglio.
Prima della messa, don Flavio Girardini, a nome dell’unità pastorale di Sopracqua ha donato al vescovo Ivan una croce pastorale fatta col legno di cirmolo della foresta di Grual, con incastonato un frammento di granito della Presanella e la doratura in foglia.
Primogenito di Santo, che faceva il falegname, nipote di un ciabattino, il vescovo Ivan è cresciuto in una famiglia numerosa (quattro figlie e tre figli). Ha detto: «Sono riconoscente ai miei genitori per il tempo che hanno dedicato alla famiglia, avendo sempre avuto amore ed attenzione per tutti i figli».
Racconta il fotografo Paolo Bisti, suo vicino di casa negli anni giovanili, che «Ivan ha sempre avuto un non so che di religioso. Semplice e umile, pareva destinato fin da piccolo a diventare prete».
Del resto, quando a dieci anni disse ai genitori che voleva entrare in Seminario a Trento, Santo e Licia domandarono al secondogenito se fosse stato d’accordo perché la scelta di Ivan avrebbe comportato per Sergio la rinuncia a studiare. Infatti, avrebbe dovuto sostituire il fratello nella falegnameria e dare una mano al papà. In casa non c’erano sufficienti entrate per far studiare entrambi i figli più grandi.
La disponibilità del fratello, il vescovo Ivan l’ha rammentata più volte: «Siamo sempre rimasti molto uniti, abbiamo condiviso gioie e sofferenze grazie anche all’esempio dei nostri genitori che ci hanno insegnato a riconoscere i segni della vita e della provvidenza. Grazie a loro abbiamo capito che il Signore non ci avrebbe mai abbandonato, anche nei momenti più duri. Penso alla morte di Marco, morto a 44 anni, nel novembre 2009, a causa di un incidente mentre stava lavorando».
Stamattina, poco dopo l’alba, il vescovo Ivan è andato nel cimitero di San Vigilio, sulla tomba dei genitori e del fratello.
In questa domenica di sole, con le vette imbiancate, lo sguardo si perdeva sulla parete della chiesa di San Vigilio, con la «danza macabra» frescata da Simone II Baschenis nel 1539.
L’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve tornerà a Trento il 10 dicembre per la completa restituzione al culto della Cattedrale dopo i lavori di pulizia delle pietre e il restauro degli affreschi.