L'intervista
domenica 4 Agosto, 2024
di Lorenzo Perin
Quello dei pesticidi è da sempre un tema caldo nel Trentino, legato a doppio filo con la produzione ortofrutticola del territorio, in particolare delle mele. Il recente rapporto Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) – di cui abbiamo scritto su il T di ieri – parla di 6 corsi d’acqua trentini con una concentrazione di pesticidi sopra i limiti normativi. Ma «negli ultimi anni la consapevolezza nell’uso dei fitofarmaci e la ricerca di tecniche meno invasive rispetto ai metodi tradizionali sono migliorate», spiega Matteo Trentinaglia, presidente di Acli Terra Trentino (600 imrpese).
Cosa ne pensa dei risultati emersi dal report di Ispra?
«Innanzitutto, partirei con una precisazione sul termine “pesticida”, che è un termine dispregiativo. “Fitofarmaci” o “prodotti antiparassitari” sono termini più adatti. Detto ciò, se potessi riassumere in tre parole le mie impressioni, direi “bene ma non benissimo”. La situazione sta migliorando, soprattutto grazie ai grandi passi avanti in ambito tecnologico. In particolare, per quanto riguarda la dispersione dei pesticidi nelle acque, gli atomizzatori muniti di ventola attraverso cui si spargono i fitofarmaci diventano sempre più precisi, diminuendo la dispersione».
Qual è la situazione in Trentino sull’uso dei pesticidi?
«Negli ultimi anni la consapevolezza nell’uso dei fitofarmaci e la ricerca di tecniche alternative e meno invasive rispetto ai metodi tradizionali sono migliorate. Teniamo conto che sono sempre di più le certificazioni per la salubrità dei prodotti in Trentino, in molti casi anche più restrittive rispetto alle norme europee. Ad esempio, i diserbanti per i vigneti possono essere utilizzati solo in determinate zone e solo in determinati periodi. Anche i controlli sono piuttosto rigorosi. Ad esempio per il solo comparto della frutticoltura, il consumatore che acquista il prodotto finale sa che potrebbero esserci stati fino a 4 controlli a campione: quello dell’Apot, che di solito è il primo, viene seguito da un secondo controllo dei magazzini delle cooperative e da un terzo effettuato dalla Grande distribuzione organizzata. Infine un quarto viene fatto dall’Azienda sanitaria e dai carabinieri del Nas».
Può esistere una compatibilità – o almeno una complementarità – fra biologico e pesticida?
«Ormai da anni tecniche convenzionali e biologiche si affiancano nella produzione agricola. Anche per le case farmaceutiche che sviluppano i fitofarmaci il primo criterio per valutare la qualità del prodotto è la salvaguardia della salute umana. Nel corso degli anni i prodotti si sono fatti meno aggressivi e più equilibrati e si può dire che il Trentino sia un’eccellenza in questo senso. Un esempio di come i fitofarmaci, che sono prodotti chimici, non siano necessariamente “pesticidi” in senso letterale, è il ferormone della tignola, che viene sintetizzato in laboratorio e rilasciato sulle viti per mandare in “confusione sessuale” il maschio di questo insetto, che non viene ucciso ma semplicemente non si riproduce. Questi ferormoni sono specifici per questo insetto, e quindi non turbano il regolare ciclo vitale di api, mosche e altri organismi. Un altro metodo alternativo sviluppato di recente è l’uso di insetti che chiamiamo “utili”».
Quali sono le difficoltà di una produzione sempre più sostenibile?
«Penso che la difficoltà più evidente sia sotto gli occhi di tutti, consumatori in primis: un aumento dei prezzi, che risponde a un aumento dei costi di produzione. Ad esempio, nel post Covid la situazione del Bio si è fatta critica: il consumo di prodotti biologici è sceso in modo abbastanza importante. D’altronde, a certificazioni sempre più restrittive corrisponde una qualità sempre più alta, ma anche delle tecniche sempre più complesse e costose».
Sono sempre di più le sfide…
«Sicuramente. Ad esempio con la globalizzazione siamo sempre più esposti a malattie importate da altri Paesi. Ad oggi ci sono parassiti che fino a 20 anni fa non esistevano. Ad esempio la mosca della frutta, o Drosophila suzukii, un parassita particolarmente dannoso per i piccoli frutti è arrivata in Europa dall’Asia orientale nel 2008. Un modo per contrastare questa mosca è chiudere l’appezzamento con il telo anti-pioggia e le piante con le reti anti-insetto».
Quanto sono formati/informati gli agricoltori sull’argomento?
«Gli agricoltori sono formati e informati, anche perché per l’acquisto dei prodotti antiparassitari bisogna ottenere un patentino, che ogni 5 anni va rinnovato. Inoltre le cooperative e la Fondazione Edmund Mach tengono ogni anno corsi di aggiornamento. Infine, ogni agricoltore può consultare un agronomo o un tecnico di campagna per valutare se adottare un nuovo prodotto: non bisogna dimenticare che questi prodotti costano, a volte anche tanto, e soprattutto vanno utilizzati in modo moderato e mirato».