L'intervista
mercoledì 1 Novembre, 2023
di Tommaso Di Giannantonio
La rivelazione a il T del vicepresidente uscente della Provincia Mario Tonina sui tre casi di avvelenamento di orsi in Trentino non fa che fotografare una «situazione conflittuale». Da una parte «c’è un grande senso di insicurezza». E dall’altra «c’è una stasi al livello di risposte, sia perché la politica ha promesso azioni irrealizzabili sia perché le istanze della giustizia amministrativa hanno portato all’immobilità». Una situazione che «favorisce gli episodi di bracconaggio», considera lo zoologo e naturalista Filippo Zibordi, che ha lavorato per 13 anni al Parco naturale Adamello Brenta nell’ambito del progetto di reintroduzione dell’orso in Trentino e ha appena scritto un libro dal titolo «L’uomo e l’orso possono convivere?» (Edizioni Dedalo, uscirà la prossima settimana).
Quali sono i fattori che portano al bracconaggio?
«Alla base del bracconaggio c’è il conflitto. Il bracconaggio esprime la volontà di risolvere in maniera illegale un malessere da parte di una persona o, più frequentemente, di un settore della popolazione. Laddove la gestione faunistica viene attuata in maniera efficace il conflitto viene tenuto basso e allora non si esprime la necessità di farsi giustizia da soli. Io ho la sensazione che in questo momento storico l’orso, in questa parte delle Alpi, sia vissuto come una presenza, non solo fastidiosa, ma totalmente negativa. E in questo contesto un certo tipo di bracconaggio può avere la stessa dinamica dei cacciatori di taglie di 120 anni fa: per una parte dei trentini togliere di mezzo un orso può essere collegato a una sorta di riconoscimento sociale».
Perché si genera un conflitto?
«Il conflitto si gioca su due grandi assi: da un lato l’asse legato alla sicurezza pubblica e dall’altro quello legato ai danni alle attività umane. Il conflitto si inasprisce quando questi due fattori vengono percepiti con tensione. Quando parliamo di sicurezza parliamo soprattutto di percezione della sicurezza. Il dato statistico ci dice che l’orso è un rischio trascurabile: salire in auto è più rischioso rispetto a una passeggiata nel bosco. Oggi, però, la gente si sente molto insicura: un numero crescente di persone ha paura ad andare in montagna. Lo stesso discorso vale per i danni alle attività umane: la Provincia sta facendo un gran lavoro su questo fronte, con la prevenzione e la rifusione, ma la percezione va oltre il dato reale».
Quali sono le tecniche utilizzate per il bracconaggio?
«Quelle più note e verosimilmente utilizzate sono tre: l’arma da fuoco, l’avvelenamento e le trappole come i lacci».
La concentrazione di così tanti orsi in una parte limitata del Trentino può favorire il clima conflittuale?
«Innanzitutto bisogna sfatare la narrazione che gli orsi stiano tutti, sempre, in Trentino: dal 2005 al 2021 ben 51 orsi sono usciti dal territorio provinciale. Le femmine sono invece abbastanza circoscritte nel Trentino occidentale. Dal punto di vista naturale non si può parlare di densità anomala. La consistenza di orsi in Trentino occidentale può essere considerata troppo elevata in relazione a dinamiche sociali, che dipendono da altri fattori, come l’enfatizzazione degli avvenimenti da parte dei mass media».
Attualmente in Trentino potrebbero verificarsi episodi di bracconaggio?
«Sì, secondo me sì: da una parte perché c’è un grande senso di insicurezza e dall’altra parte perché c’è una stasi al livello di risposte, sia perché la politica ha promesso azioni irrealizzabili sia perché le istanze della giustizia amministrativa hanno portato all’immobilità. Sarebbe ora di tornare a dare la parola ai tecnici, per trovare soluzioni legali, fattibili e socialmente condivise».
In Abruzzo gli episodi di bracconaggio sono piuttosto frequenti. Si può parlare di fenomeno «bracconaggio»?
«Non abbiamo abbastanza dati per quantificare il fenomeno. Ci sono alcune evidenze di bracconaggio, ma sono poche e si contano sulle dita di una mano. Allo stesso tempo possiamo ragionevolmente ipotizzare che si verifichino fatti illegali perché la popolazione di orsi non cresce e rimane sempre intorno ai 50-60 esemplari».
Qualcuno potrebbe pensare che in questa maniera, seppur per vie illegali, si è riusciti a contenere il numero di orsi.
«Sì ma in Abruzzo, proprio per questo, la popolazione di orsi è ad altissimo rischio di estinzione».
Quali sono gli «assi» alla base di una «gestione faunistica efficace»?
«Bisogna mettere in atto tutte le misure gestionali previste dal Pacobace (il piano di gestione dell’orso): azioni indispensabili per garantire la convivenza tra uomini e orsi, ma che sono state fatte sempre meno e peggio in Trentino negli ultimi anni. Il secondo asse è la comunicazione: bisognerebbe raccontare la realtà con i dati di fatto e non con l’emotività. Il terzo asse è quello della ricerca scientifica e del monitoraggio, che andrebbero incentivati e non depotenziati».
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