L'editoriale

mercoledì 23 Agosto, 2023

Orsi e lupi, la frattura nella società

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L’incertezza, di regole e giuridica, conduce inevitabilmente ad una radicalizzazione delle posizioni (a difesa o offesa delle specie coinvolte) e alla depressione del buonsenso con cui si può (poteva?) individuare un punto di equilibrio

Quello dei grandi carnivori è ormai diventato un nervo scoperto della vita collettiva in Trentino e non esiste una soluzione che possa sciogliere tutti i problemi (e le potenzialità) che contiene. Non esiste perché è un argomento stratificato che rimbalza sulla cultura collettiva, le abitudini, la sicurezza, la scienza, le leggi e l’ormai sacra e inviolabile prerogativa individuale e quindi qualsiasi misura che contenga l’ambizione di ricomporre questo quadro esploso come fosse un mini big bang non ha chance di successo.
La reintroduzione dell’orso, e in tempi relativamente più recenti dei lupi, è avvenuta all’interno di un paesaggio mentale e culturale della popolazione residente assai modificato rispetto a cento anni fa. Come negli animali, anche nelle donne e negli uomini il cambio di esperienza produce oblio e un reset dell’alfabeto conosciuto, in questo caso dei boschi. È la ragione per cui progetti così ambiziosi dovrebbero essere accompagnati con un processo importante di ri-alfabetizzazione della popolazione e con regole di ingaggio molto chiare. Sono mancate sia per sottovalutazione sia per assenza di una chiara volontà politica – il progetto «Life ursus» è rimasto nel tempo orfano di padre politico nonostante la Provincia avesse assunto la responsabilità della sua gestione sottraendola al Parco Adamello Brenta – sia per la tendenza di questo Paese a sfumare ogni possibilità di assumere una chiara decisione e direzione. Per cui una misura di buonsenso, sollecitata in primis dagli zoologi di cui dobbiamo fidarci, di rimozione di tutti gli esemplari problematici diventa un enorme e insondabile terreno di scontro, una palude giuridica dove si arena ogni certezza e dove cresce la sfiducia e la paura.

L’ultima vicenda dei due lupi di cui il presidente della Provincia, Maurizio Fugatti, ha decretato l’abbattimento è ormai latente da settimane tra ricorsi, decreti giudiziari sospensivi, ferie dei tribunali, culture cittadine con riverberi negli orientamenti del diritto. Se domani quei due lupi dovessero predare un uomo, una donna o un bambino – visto che hanno perduto ogni timore dell’umano che prima li aveva condotti quasi all’estinzione e visto che gli esperti li considerano assai più pericolosi dell’orso – non ci sarebbe ovviamente nessun responsabile perché tutto è avvenuto in punta di diritto. L’incertezza, di regole e giuridica, conduce inevitabilmente ad una radicalizzazione delle posizioni (a difesa o offesa delle specie coinvolte) e alla depressione del buonsenso con cui si può (poteva?) individuare un punto di equilibrio.

Senza un orientamento politico univoco e senza un reale investimento in conoscenza e in infrastrutture (i bidoni anti-orso sono emblematici del ritardo culturale e del desiderio di allontanare il tema dal territorio come se si estinguesse da solo) la partita è naufragata, consolidando almeno tre orientamenti contrapposti. Quello della comunità scientifica che propone le misure più assennate ma che ora sono valutate insufficienti a ripristinare la fiducia nelle comunità; quella degli animalisti e della cultura cittadina (dentro e fuori il Trentino) che pone l’animale al centro della tutela e quindi come priorità argomentativa; quella delle comunità montane per le quali il bosco è una prima casa che – al di là delle ricadute economiche e turistiche – si sentono espropriate e che hanno osservato crescere dentro di sé un sentimento di ostilità verso tutto ciò che ha modificato le loro certezze. In questo quadro, è evidente, che un ruolo centrale lo ha anche l’antropizzazione della montagna che è quanto di più oppositivo ci sia al concetto di selvaggio. Dobbiamo anche interrogarci se questa grande trasformazione della montagna come meta del turismo di massa abbia anche dissolto o quantomeno allentato la cultura della montagna e la sua capacità di elaborare i temi e i cambiamenti che la investono.

La polemica emersa nel seno di Fratelli d’Italia racchiude una parte di queste posizioni e contraddizioni. Francesca Gerosa ha espresso una linea che è parsa più incline a tutelare gli animali e che è condivisa da chi vive in città e dai partiti nazionali, i quali sono tutti indistintamente pro orso. Gli esponenti di Fratelli d’Italia che vivono il territorio hanno tutti rivendicato il rovesciamento del paradigma: prima la sicurezza di chi risiede in montagna, poi i grandi carnivori.
La morte di Andrea Papi è avvenuta in questa trama già sfilacciata e ha finito per allargare le maglie del problema, aggiungendo il peso del precedente. E allargando il divario istituzionale e umano. Con sindaci che sono sospesi nel vuoto normativo e conoscitivo, nella frustrazione che cresce e nell’impossibilità di adottare strategie che spettano a ben altri livelli decisionali. Insomma, il rischio è quello di un cortocircuito istituzionale e comunitario assai insidioso per la società trentina.

L’Autonomia, il suo acclamato autogoverno, dovrebbe essere in grado di disinnescare questa situazione e di individuare un quadro normativo, di regole e di azioni certi. L’Autonomia ha già rivendicato a sé alcune competenze: con la presidenza di Ugo Rossi si sono introdotte catture e abbattimenti con il parere non vincolante del ministero per l’ambiente e, in particolare, dell’Istituto superiore per la ricerca ambientale (Ispra). La direttiva europea Habitat consente deroghe al protezionismo dei grandi carnivori che erano attribuite al ministero e da settembre 2018 sono passate in capo al presidente della Provincia autonoma di Trento (così Rossi dispose l’abbattimento di Kj2). La legge fu impugnata a suo tempo da Lega e M5s. In tempi più recenti la giunta Fugatti ha disposto un’estensione del provvedimento eliminando anche il parere non vincolante di Ispra che spesso aveva tempistiche non celeri. Il governo Meloni non lo ha impugnato, ma rimane la possibilità che finisca di fronte alla Corte costituzionale per altre vie.

Alcuni strumenti ci sono e vanno utilizzati in modo estensivo – per esempio, c’è chi lamenta l’assenza di un piano di gestione dei lupi che sarebbe normativamente già praticabile -, altri strumenti, come ad esempio una norma di attuazione sul tema che innalzi la gerarchia delle fonti legislative, rimangono un’opzione aperta.
La questione è certamente in grado di orientare flussi di consenso (ma solo di rabbia, non propositivi) e il timore che la campagna elettorale inquini ancora di più le acque è reale. Che gli slogan prendano il sopravvento sui problemi e sull’articolazione delle risposte. Che, come abbiamo visto, non possono essere univoche né esito di emotività, ma richiedono una declinazione ampia e in più direzioni per trasformare le paure in consapevolezze.