L'editoriale

lunedì 14 Agosto, 2023

Orario di lavoro, una battaglia che viene da lontano

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Il recente dibattito e i precedenti: Antonio Tambosi nel 1893 criticò la legislazione austriaca che vietava di impiegare i bambini sotto i 12 anni e di farne lavorare più di 10 ai ragazzini; lo sciopero dei pellettieri di Rovereto del 1897 per la riduzione dell'orario di lavoro; la protesta dei muratori che rivendicavano le 10 ore di lavoro; le 11 ore di dell'istituto bacologico

Lavorare meno ore a parità di stipendio: sembra questa l’ultima frontiera del mondo del lavoro. Impossibile? Ridurre le ore di lavoro settimanale suona a molti sacrilego, ma a certe orecchie probabilmente era suonato altrettanto blasfemo chiedere di non lavorare 14 ore al giorno.
Nel 1893, alla Camera di Commercio di Rovereto, si riunì una Commissione per analizzare la crisi della produzione della seta. Il portavoce degli industriali fu Antonio Tambosi (lo stesso che due anni dopo sarebbe diventato podestà di Trento), che si scagliò soprattutto contro la legislazione sociale austriaca. Tambosi attribuì la crisi al fatto che era stato vietato il lavoro al di sotto dei 12 anni e reso più difficile quello sotto i 14, ma, soprattutto, accusava la legge che impediva a ragazzini e ragazzine di lavorare più di 10 ore giornaliere. Questa condizione, insieme all’assenza dei dazi, non faceva reggere il confronto con la produzione del Regno d’Italia, dove Tambosi invidiava che le bambine dai 9 ai 12 anni potessero lavorare per 8 ore, e quelle dai 12 anni fino a 13 ore, con sensibili riduzioni dei costi di produzione.
Nel dicembre del 1897, i pellettieri di Rovereto scioperarono per ben quattro settimane per ottenere una riduzione di orario e una giornata lavorativa che restava di 11 ore. Nello stesso periodo, anche i tipografi di Trento sospesero il lavoro e ottennero un aumento della retribuzione settimanale, il pagamento del salario anche nei giorni festivi non domenicali e la riduzione di mezz’ora dell’orario quotidiano. L’anno successivo fu la volta dei muratori di Trento, che sulla scia delle proteste dei colleghi di Rovereto, Merano e Bolzano, si organizzarono in una lotta dura e molto contrastata dai datori di lavoro, per rivendicare la giornata di 10 ore. Cesare Battisti commentò in questa occasione che “la borghesia trentina è assai più feroce di quella italiana. Qui si parla semplicemente di fucilare, impiccare, bruciare e peggio ancora!”. Nello stesso anno, anche le operaie delle filande della città ottennero la riduzione da 12 a 11 ore di lavoro quotidiano.
Se alle filandiere 11 ore potevano sembrare una conquista, gli operai delle segherie della val di Fiemme nel 1906 si trovarono a chiedere di lavorare 12 ore, e non più le 14-16 a cui erano obbligati. Alcide De Gasperi si cimentò a fianco di questi lavoratori (“Lavoro giornaliero da 14 a 16 ore, un duro giaciglio per dormire, fatto per i cani, che serve loro anche da tavola da pranzo!”, scrive sul periodico La Squilla). Oltre alla riduzione dell’orario, i ‘segantini’ chiedevano di ricevere la paga ogni mese e un aumento di 60 centesimi al giorno. Richieste che i proprietari delle segherie giudicarono irricevibili, tanto che fu necessario ricorrere allo sciopero anche in quell’occasione.
Pur segnati da vittorie, gli orari restavano massacranti. Il regolamento dell’Istituto bacologico di Trento, pubblicato nel 1908, prevedeva che l’orario oscillasse tra le 10 e le 11 ore, a seconda della stagione. Se però fosse stato richiesto lavoro fuori orario, le operaie sarebbero state obbligate ad eseguire la richiesta in cambio di un compenso da concordare. Nei periodi di maggiore lavoro, quando i bozzoli si dischiudevano, dovevano lavorare anche la domenica e durante le festività, anche se “si procurerà di lavorare una sola mezza giornata, lasciando al mattino alle operaie il tempo necessario per poter assistere all’ufficio divino”.
Diversa era la situazione degli uffici del Comune di Trento. Negli anni ottanta dell’Ottocento, l’orario dei dipendenti comunali andava dalle 8 alle 12 e dalle 15 alle 18 nei giorni feriali, con l’obbligo per tutti di lavorare due ore la domenica e i festivi. Nel primo decennio del Novecento, il lavoro domenicale veniva ancora svolto, ma a turno. Del resto il riposo festivo non è mai stato scontato. In Austria, dove pure la legislazione era più avanzata che nel Regno d’Italia, la pausa di 24 ore la domenica per le industrie era stata sancita nel 1895, ma erano previste diverse opportunità per ridurre questa giornata.
Le conquiste dei lavoratori e delle lavoratrici hanno riguardato prima di tutto il tempo, misurato in minuti e ore, spazio di vita conquistato faticosamente. Oggi, le sperimentazioni della settimana lavorativa di quattro giorni sono possibili almeno nei Paesi più ricchi del pianeta, dove la meccanizzazione, la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale stanno cambiando il lavoro come è stato conosciuto finora.