L'intervista
sabato 5 Luglio, 2025
Caso Buonconsiglio, l’ex direttrice Laura Dalprà: «Il Castello merita più trasparenza»
di Simone Casciano
L’ex direttrice: «Professionisti importanti esclusi, la Provincia pubblichi i nomi di tutti i candidati»

È l’amore per il «suo» museo ad aver spinto Laura Dalprà, ex direttrice del Museo del Buonconsiglio, a dire la sua sul «caso» attorno alla nomina del nuovo direttore o direttrice dell’ente museale. Con uno stile pacato, ma attento e preparato, non risparmia qualche critica al processo che si è delineato in queste settimane.
Direttrice, che idea si è fatta di quello che sta succedendo?
«È una domanda difficile. Di certo la situazione mi preoccupa, ed è anche per questo che ho ritenuto opportuno, sulla base della mia esperienza in museo, chiarire alcuni punti essenziali che emergono da un processo che, a oggi, non appare chiaro né lineare. Forse si voleva che lo fosse all’inizio: snello, rapido, capace di rispondere a molteplici esigenze. Non conosco però la logica che ha portato alla scelta di un’indagine flessibile invece di un concorso pubblico classico per una direzione. Una scelta che, applicata in questo modo, ho solo portato a provvisori esiti del tutto opinabili. Inoltre né la sottoscritta né il Comitato scientifico del Museo – unico organo a supporto dell’attività della direzione dell’ente – sono stati coinvolti. Non c’è stato alcun confronto, ma d’altronde non so se nel caso del Muse o del Mart è stato fatto. Un confronto, per quanto non dovuto, sarebbe stato quantomeno opportuno. Il museo ha infatti vissuto una crescita rapida negli ultimi due anni: nel 2023 sono state aggregate tre nuove sedi, portando il totale da cinque a otto, abbiamo celebrato il centenario con grande impegno e risultati importanti. In un simile contesto, sarebbe stato utile avviare una riflessione a consuntivo della direzione uscente, sui progetti in corso, sulle prospettive future. Tutti elementi che avrebbero potuto orientare meglio il percorso di reclutamento. Ma così non è stato».
Cosa non l’ha convinta del processo di selezione?
«Come molti colleghi con cui ho parlato in queste settimane, mi sono sentita disorientata. La prima graduatoria di cinque nomi è apparsa subito singolare, soprattutto considerando che, secondo quanto si sapeva tramite il passaparola tra professionisti del settore, mancavano taluni candidati di grande rilievo che si erano iscritti. La seconda graduatoria, più ampia, non ha chiarito le cose. Non conoscendo i dati oggettivi né i criteri di selezione – che non sono stati resi noti – è difficile orientarsi. Per chi è all’esterno, la sensazione è quella di un meccanismo incerto e quindi opaco».
Lei ha perplessità anche sull’organo di valutazione.
«Sì, e mi sono fatta portavoce di molti. Già al momento della pubblicazione del bando ha destato sorpresa la composizione del nucleo di valutazione, priva di figure specialistiche con competenze museali e culturali. La direzione di un museo richiede preparazione ed esperienza specifica, sia da parte di chi si candida sia da parte di chi valuta.Non si tratta solo di capacità manageriali: occorre conoscenza disciplinare, familiarità con il tipo di museo da dirigere. Non basta una laurea. La direzione museale oggi ha una responsabilità cruciale, significa saper conservare e comunicare patrimoni antichi o moderni in chiave contemporanea, anche con nuovi linguaggi. È un compito che richiede una formazione continua, visione, esperienza sul campo. Per questo ritengo che la prima commissione non fosse adeguata a valutare tutti questi aspetti».
L’integrazione ora di figure con competenze specifiche, penso per esempio a Franco Marzatico, per i colloqui orali le dà più fiducia?
«Certamente. La presenza di Franco Marzatico, con il suo bagaglio di esperienza tra soprintendenza e direzione museale (come il mio) rappresenta un valore aggiunto importante. Tuttavia, va detto che la precedente scrematura dei candidati è ormai avvenuta. Marzatico non può intervenire su eventuali esclusioni già operate in quella fase».
Ma lei pensa che, anche ora con l’integrazione a 14 candidati, ci siano state esclusioni clamorose?
«È un dubbio legittimo, condiviso da molti nel settore. Il tam tam tra professionisti ha segnalato la candidatura di figure di rilievo che poi non compaiono nella graduatoria finale. Perché? Non lo so. Le motivazioni potrebbero risiedere in oggettive mancanze di requisiti nelle domande presentate o nella non rispondenza ai criteri adottati, ma al momento resta un interrogativo».
Secondo lei sarebbe opportuno che la Provincia pubblicasse i documenti della selezione, le candidature e le valutazioni, in un’operazione trasparenza ?
«Non sono un’esperta in materia giuridico-amministrativa, so che i concorsi pubblici sono processi regolati da norme precise, ma in questo caso la strada imboccata è comunque diversa. Ma se fosse lecito pubblicare questi documenti, allora sì, penso che sarebbe auspicabile farlo, in un’ottica di trasparenza».
Qual è il suo auspicio per il Buonconsiglio?
«Vorrei una persona competente, con visione manageriale e, al contempo, con uno spirito da operatore culturale capace di leggere e interpretare i nuovi linguaggi. Servono figure complesse, che non si improvvisano: non solo il titolo di studio, ma anche un percorso costruito con anni di lavoro sul campo. Penso, ad esempio, al direttore del Museo Egizio di Torino, ma anche ad altri esempi virtuosi. Questo è un mestiere tanto complesso quanto affascinante, che richiede passione, formazione continua e la capacità di muoversi tra passato e futuro.»
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