La tragedia

venerdì 18 Agosto, 2023

Morte di Ermanno Salvaterra, il dolore di Reinhold Messner: «Perdo un amico, trentini non dimenticatelo»

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La notizia dell'incidente sul Campanile Alto ha lasciato attonito il re degli ottomila: «Era una persona di grande empatia e un grande alpinista»

«No è caduto anche lui», ha la voce rotta dal dolore Reinhold Messner nell’apprendere la notizia della morte di Ermanno Salvaterra. È incredulo per l’apparente banalità di un incidente accaduto ad un alpinista così esperto e addolorato per la perdita di una persona a cui era unito da un legame profondo. «Perdo prima di tutto un grande amico e poi un grande alpinista, tutti lo perdiamo».
Messner conosceva bene Salvaterra?
«Posso dire di sì, lo conoscevo molto bene. Lo stimavo tantissimo perché ha fatto delle imprese alpinistiche straordinarie in Patagonia. Sul Cerro Torre ovviamente, ma non solo anche sul Fitzroy. Era un grande patagonista e un grande dolomista, ma soprattutto era una grande persona. Sono profondamente colpito. Ho perso un amico, una persona di grande talento e di grande empatia, sempre disponibile ad aiutare gli altri, con la voglia di raccontare la sua montagna».
Quando vi eravate conosciuti?
«Più di 20 anni fa, quando lui aveva compiuto la sua impresa più importante. L’apertura della via “El arca de los vientos” sulla parete nord del Cerro Torre(nel 2005, ndr). Una conquista incredibile e che mi spinse a fare la sua conoscenza. Andai a incontrarlo al “suo” rifugio, il 12 apostoli, dove poi ci saremmo incontrati tante altre volte».
E avete mai scalato insieme?
«No mai, anche se abbiamo avuto tanti incontri in montagna. Ma quando ci siamo conosciuti io ormai arrampicavo poco, concentrato su altre cose della mia vita. Poi va detto che io mi sono dedicato presto alla disciplina degli ottomila e quello a lui interessava. Ermanno Salvaterra era un patagonista e dolomista».
Ad unirvi è stata quindi proprio la passione per il Cerro Torre
«Sì e infatti lui appare anche nel mio film sulla montagna patagonica, abbiamo girato insieme sia le scene in Alto Adige sia quelle alla base del Cerro Torre».
Che ricordo serba di quel set, di quei momenti assieme?
«Ermanno era una persona vera, con grande empatia che si approcciò al film con grande generosità e senza atteggiamenti da star. Quando ha raccontato della sua impresa del 2005 rimanemmo tutti in silenzio. Ma poi quello che ricordi di più di quel film sono i momenti passati assieme, soprattutto a Sesto. Quando la telecamera si spegneva e rimanevamo solo noi. Momenti che ora tornano alla mente e le emozioni si confondono. Ricordo queste baite semplici in cui passavamo le notti a studiare le foto e parlare delle imprese fatte da lui in Patagonia. Avventure alpinistiche di grande valore. Quella è una terra ancora oggi di vero alpinismo, non come l’Himalaya dove ormai si fa turismo. La Patagonia non è così, lì esci con lo zaino e sei responsabile di te stesso».
E infatti Salvaterra continuava a tornarci
«Si mi aveva detto che stava preparando una spedizione sulla Torre Egger, voleva insistere. Incredibile quello che era capace di fare ben oltre i sessanta anni. A quell’età molti alpinisti non hanno più la forza e l’agilità di quando erano giovani, è normale. Invece lui era ancora agile e forte, ancora capace di compiere salite importanti. Per molti sarebbe impossibile, ma lui ne era capace».
Rende ancora più difficile da accettare la sua scomparsa?
«Certo da quello che ho appreso si è trattato di un incidente davvero sfortunato. Fa ancora più male perché ormai Ermanno era arrivato a un’età in cui pensi che non possa più capitare. Ma in montagna è così, si è sempre in pericolo, basta poco e poi ci pensa la gravità. Basta che un appiglio usato mille altre volte ceda all’improvviso. Conosco quello spigolo, mi viene da pensare che se solo la parete fosse stata più verticale magari non avrebbe sbattuto la testa…Non so cos’altro dire, c’è un grande dolore. Negli ultimi anni la montagna si è portata via alcuni degli alpinisti più bravi che avevamo: penso a Ueli Steck, a David Lama, ad Hansjörg Auer, a Jess Roskelley e ora anche a Ermanno che appartiene a questo gruppo ristretto di leggende della montagna»
Lei ha scritto la prefazione all’ultimo libro di Salvaterra: Patagonia il grande sogno. Scrive “È riduttivo presentare Ermanno solamente come L’uomo del Torre”. Cosa intende?
«Che quella montagna è ciò che lo ha reso famoso, ma lui è stato molto di più. Sia come alpinista, ha fatto salite di valore inestimabile tanto in Patagonia, quanto in Trentino, sia come persona. vorrei fare un appello».
Prego
«Mi auguro con tutto il cuore che i trentini non lo dimentichino».