Il dibattito
martedì 21 Gennaio, 2025
Moena, le riflessioni di Carlotta Vanzetta de «Il Giardino»: «La nostra scuola è senza barriere»
di Gilberto Bonani
La coordinatrice: «Qui diamo centralità ai bambini, i genitori restano il riferimento»

Si chiama «Il Giardino» ed è uno dei progetti della cooperativa «SpazioTempo» di Moena da alcuni anni impegnata nella sfera educativa e sociale di bambini e ragazzi.
Carlotta Vanzetta, laureata in Scienze della formazione primaria e per qualche anno anche insegnante nella scuola pubblica, è disposta a chiarire alcuni aspetti legati al dibattito in corso sulle scuole parentali a seguito dell’interrogazione presentata dal consigliere provinciale Michele Malfer.
Come è nata l’iniziativa educativa?
«Era il 2018 e venivo da un’esperienza scolastica di docente inseguita dalla campanella e limitata nel dialogo con gli alunni per l’affollamento delle classi. L’incontro con le persone “giuste” mi ha fatto pensare che era possibile un’alternativa. Vorrei chiarire che “Il Giardino” non è una scuola parentale, ma un progetto di assistenza a genitori che intendono assumersi la responsabilità della formazione dei propri figli. L’educazione parentale assume numerose sfaccettature. In alcuni casi i genitori rimangono l’unico riferimento per la scolarizzazione, in altri diverse famiglie fanno a turno nel ricoprire il ruolo di docenti. Infine c’è chi si appoggia a realtà come la nostra. La responsabilità rimane sempre e comunque dei genitori che possono, di anno in anno, scegliere se continuare l’esperienza o affidarsi ad altre agenzie educative. Attualmente abbiamo studenti che vanno dalla prima elementare alla prima media».
Quali sono i principi fondamentali che applicate nel vostro percorso?
«Non abbiamo un’unica scuola pedagogica di riferimento. Crediamo che i bambini siano tutti diversi tra loro quindi diamo valore all’individualità di ognuno, esercitando le competenze relazionali e incoraggiando l’apprendimento motivato basato su interessi e voglia di scoprire. Il tempo mattutino si adegua alle dinamiche del gruppo che non è rigidamente definito. Ci possono essere delle interazioni tra gruppi diversi a seconda delle attività. Crediamo molto nella possibilità di apprendimento tra pari. Grazie al numero ridotto diamo ascolto alle espressioni e alle inclinazioni dei bambini, permettendo alla curiosità di emergere spontaneamente. Gli adulti di riferimento si chiamano “custodi” proprio per indicare che non c’è un “maestro”, ma una persona che ha come obiettivo custodire il tempo dell’infanzia e le numerose risorse insite nel bambino e nella sua naturale propensione ad apprendere. Il tempo di confronto e relazione si intervalla quindi con l’approfondimento dei saperi scolastici, abilità verificate ogni anno dalla scuola pubblica».
Quante famiglie sono coinvolte nel vostro progetto?
«Attualmente sono una trentina, una parte sono nuclei famigliari provenienti da regioni limitrofe dove è più diffusa la possibilità di scelta tra più agenzie educative. Credo che chiedere la nostra collaborazione non sia una soluzione di comodo, ma sollecita una maggiore assunzione di responsabilità. La soluzione da noi offerta inoltre pesa sul bilancio familiare, non è gratuita come la scuola pubblica».
Come mai nelle valli di Fassa e Fiemme si contano circa un terzo degli studenti che frequentano le scuole parentali di tutto il Trentino?
«Non ho risposte certe, posso solo fare ipotesi. Credo che i centri abitati più popolosi offrano una maggiore scelta formativa. Ci sono più scuole pubbliche a cui accedere e iniziative educative di varia ispirazione. Qui in Fassa e Fiemme non ci sono molte alternative, l’educazione parentale dà quest’opportunità».
Le pluriclassi che si stanno formando a causa della denatalità possono spaventare i genitori e spingerli a togliere i propri figli dalla scuola pubblica?
«Guardando ai bambini non vedo il problema. L’opportunità di uno spazio comune in cui gli studenti supportano l’apprendimento dei loro compagni è positivo. Credo invece che il problema sia più profondo. I programmi e le aspettative spesso scandiscono i tempi del sapere mentre dovrebbe essere l’istruzione a modellarsi sulle reali risorse degli studenti. Per questo progetti di assistenza come il nostro non sono antagonisti della scuola pubblica, ma piuttosto un’opportunità in più nel panorama educativo».