L'inchiesta

mercoledì 30 Novembre, 2022

Meleti come discariche e inerti «tombati» in un’area provinciale: il sequestro in val di Non

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Rifiuti, pure della galleria del Brennero, finiti in 100 mila metri quadri di terreni: ora si sa quali

Meleti della val di Non trasformati in discariche abusive. Tonnellate di rifiuti smaltiti in bonifiche agrarie. Quali e quante lo si è individuato ora, dopo ulteriori mesi di indagini da parte dei carabinieri del Noe di Trento che hanno effettuato gli accertamenti nell’ambito dell’inchiesta «Brennero»: un totale di centomila metri quadrati, divisi su otto diverse aree, in cui venivano scaricati i rifiuti provenienti dai lavori per la realizzazione della galleria appunto del Brennero, mixati agli inerti che uscivano dall’impianto di recupero di Denno. Ma stando a quanto emerso nel corso delle indagini delegate dal procuratore Sandro Raimondi e dal sostituto Alessandra Liverani della direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo, ci sarebbe stato anche un altro sistema per sbarazzarsi illecitamente di quel materiale senza preoccuparsi delle procedure di recupero, e quindi di ulteriori costi da affrontare. Lo stratagemma, a quanto appurato dai militari, era quello di «tombare» i rifiuti. In un’area demaniale, biotipo di interesse comunitario, a ridosso del fiume Noce, in territorio di Campodenno. Lì dove era autorizzata dalla Provincia (proprietaria) la sola frantumazione di pietre e minerali vari fuori dalla cava. Un’area in cui realizzare un voluminoso «buco», da cui prelevare abusivamente il materiale sano (demaniale appunto e che per l’accusa sarebbe stato rivenduto) per riempire poi lo stesso scavo di rifiuti. Di tonnellate di rifiuti. Provenienti da due impianti gestiti da una stessa società trentina, la Fiumeter srl, finita da circa un anno sotto la lente di ingrandimento dagli investigatori del Nucleo operativo ecologico di Trento. I siti sono quelli di Denno, destinato appunto a ricevere gli inerti — da dove sarebbero usciti anche miscelati, comunque non trattati — e l’impianto di macinazione degli inerti di Campodenno, adiacente all’area scavata. I limi provenienti dalle operazioni di macinazione appunto e lavaggio di pietre e minerali sarebbero stati a loro volta seppelliti lì, assieme appunto a quelli arrivati da Denno. Creando una grande discarica. Abusiva.
Questo almeno stando al quadro accusatorio delineato in un anno di complessi accertamenti, passati anche attraverso servizi di osservazione e pedinamento, grazie a perquisizioni e materiale sequestrato (documenti e telefoni), passato al setaccio da parte dei carabinieri del Noe che hanno potuto contare sulla collaborazione del nucleo ispettivo dell’Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente della Provincia autonoma di Trento.
A febbraio era scattato un primo sequestro: dell’impianto di Denno, dove, secondo gli investigatori, i titolari, eludendo le norme tecniche e analitiche, facevano transitare i rifiuti, per poi recapitarli in quelle che avrebbero dovuto essere delle bonifiche agrarie, ma che di fatto si erano rilevate essere delle discariche abusive. Lì dove per l’accusa sarebbero stati smaltati illecitamente quattrocento tonnellate di rifiuti.
Le più recenti risultanze investigative, sempre nell’ambito della stessa indagine «Brennero», hanno portato la procura a chiedere ed ottenere dal giudice per le indagini preliminari Gianmarco Giua i sigilli anche per l’area dei rifiuti «tombati», a Campodenno appunto. Al contempo sono state contestate ulteriori accuse ai tre indagati, rispetto a quelle di inizio anno.
Non solo quindi traffico illecito di rifiuti aggravato e discarica abusiva ma anche gestione di rifiuti non autorizzata (poiché avrebbero commercializzato e smaltito in ambiente rifiuti che erano ancora tali e non erano stati trattati) e ancora furto (del materiale scavato nell’area demaniale e fatto sparire) e frode in commercio.
A rispondere dei vari illeciti dovranno essere i titolari della Fiumeter srl di Cles (società a sua volta finita nel procedimento penale) e cioè Rinaldo Borghesi e il figlio Stefano, rispettivamente socio di maggioranza e amministratore unico il genitore, e socio di minoranza l’altro, oltre al loro dipendente con delega a gestire gli impianti, Matteo Fondriest. A quanto pare ci sarebbero telefonate e messaggi in cui gli indagati si accorderebbero sul da farsi, sugli scavi da realizzare (nel 2020 e 2021) e sui vuoti da colmare, sul sistema illecito per far sparire quei materiali rimasti rifiuti perché mai trattati.
Il loro difensore, l’avvocato Roberto Bertuol, al momento non intende fare dichiarazioni, almeno non prima della chiusura indagini e di avere accesso agli atti.
Gli inquirenti, comunque, non hanno dubbi: gli indagati avrebbero ottenuto diversi e sostanziosi vantaggi economici, per un giro d’affari che sarebbe stato milionario. Vantaggi dovuti alla vendita del materiale demaniale asportato senza autorizzazioni e per il denaro risparmiato smaltendo i rifiuti nei vuoti ricavati. Presunte condotte attraverso le quali, secondo l’accusa, non solo è stato defraudato l’ente pubblico che aveva dato in concessione l’area per svolgervi attività di lavorazione degli inerti, ma è stato al contempo arrecato un danno ambientale — al momento non quantificabile — in una riserva naturale di interesse ecologico a elevata valenza.
Quello che emerge è come il business dei rifiuti non si sia fermato davanti a nulla. Nemmeno in Trentino, in una zona la cui vocazione è volta alla cura del territorio, particolarmente noto per i marchi che ne contraddistinguono le produzioni agricole di eccellenza. Il fatto poi che la presunta attività illecita abbia avuto corso in un’area di pregio ambientale che si sviluppa tra il fiume Noce e la statale 43, di proprietà del Servizio Bacini Montani della Provincia di Trento, senza che apparentemente nessuno si sia accorto di nulla, ha destato perplessità anche negli stessi investigatori.
Gli accertamenti, comunque, potrebbero non essere conclusi.
Sul fronte delle bonifiche agrarie, c’è il rischio che scattino dei provvedimenti, questa volta di tipo amministrativo, nei confronti degli otto proprietari di terreni della val di Non dove sarebbero stati smaltiti i rifiuti. Terreni piantumati, tutti meleti ad eccezione di uno. I rispettivi titolari, che sarebbero stati sentiti come persone informate dei fatti nel corso delle indagini (solo uno di loro aveva presentato un esposto), dovranno attivarsi per rimuovere i rifiuti e ripristinare le aree per la destinazione agricola. Iniziativa che qualcuno di loro ha già intrapreso. Già ad inizio anno era emerso come in quei meleti dovevano essere confluiti anche materiali cementizi, provenienti dal cantiere per la realizzazione della galleria del Brennero. Camion e camion, era stato calcolato, che finivano nei terreni della val di Non.