L'intervista

lunedì 21 Luglio, 2025

Matteo Anderle: «Io, ricercatore premiato grazie alla tesi sugli uccelli. Le Alpi? tesoro di biodiversità tra i meno studiati»

di

Classe 1991, di Pergine, ha vinto il prestigioso premio «Stefan Gergely», assegnato dall'accademia austriaca delle scienze: «Mi definiscono naturalista per nascita»

Matteo Anderle, classe 1991 originario di Pergine, ha vinto il «Premio Stefan Gergely», un riconoscimento prestigioso assegnato dall’accademia austriaca delle scienze per tesi di dottorato eccellenti nel campo della ricerca sulla biodiversità. Nello specifico Anderle, da sempre appassionato di uccelli, si è concentrato sulla valutazione dell’impatto dell’eterogeneità dell’habitat e del paesaggio e delle caratteristiche dell’uso del territorio sulle comunità di uccelli di montagna. Nel corso degli anni, tra le varie esperienze, ha collaborato e collabora anche con il Muse e con l’Eurac.

 

Anderle, dove nasce la sua passione per i volatili?

«La mia passione è innata. Mio papà è giardiniere, mia mamma infermiera, quindi nessuno ha lavorato a contatto con gli animali. Quando mi chiedono di scrivere un curriculum mi definiscono naturalista per nascita, ho sempre avuto questo collegamento con la gli animali selvatici. Non so spiegarmelo, è una cosa che sento mia da sempre. Da piccolo, ad esempio, giocavo con le api: mi piaceva osservarle. Discorso simile con i caprioli, li cercavo e quando li vedevo mi sentivo fortunato».

 

Passione che poi ha portato avanti attraverso i suoi studi.

«Ho frequentato l’indirizzo scientifico al Galilei, scuola che mi ha permesso di avere una base importante nelle materie scientifiche. Ero una capra invece nelle materie umanistiche (ride; ndr), la matematica era il mio forte. Poi all’università mi sono trasferito a Firenze: la Toscana mi ha sempre affascinato per il suo paesaggio. In triennale ho studiato scienze faunistiche e ho fatto la tesi sulla pernice bianca nel Parco Naturale di Paneveggio attraverso monitoraggi e lunghe camminate. Alla magistrale ho invece studiato scienze e gestione delle risorse faunistiche e ambientali. Per la tesi ho trascorso sette mesi tra l’Inghilterra e la Scozia per monitorare il gallo forcello. È stata un’esperienza davvero importante in una realtà diversa, poi ho sentito il richiamo delle nostre montagne».

 

E come ha trasformato il tutto in lavoro?

«Ho vinto un progetto di servizio civile al Muse sul monitoraggio degli uccelli e da lì ho collaborato con il museo per 4 anni come tecnico di ricerca. Questa esperienza mi ha aiutato molto a specializzarmi: lavoravo con un gruppo di ornitologi che mi ha trasmesso molto. Poi nel 2019 ho vinto un concorso e attraverso varie collaborazioni ho successivamente iniziato a fare il dottorato a Innsbruck».

 

Dottorato che le ha permesso di essere premiato grazie alla sua tesi.

«Nella tesi mi sono soffermato sugli habitat e paesaggi sotto ogni aspetto in ambiente alpino. Volevo cercare di colmare il gap che c’è negli studi e nella conoscenza della fauna alpina. Le Alpi sono uno dei luoghi di biodiversità più grandi in Europa: ci sono un sacco di specie e tantissimi habitat, però tra i meno studiati».

 

Perché?

«Perché è più facile studiare gli uccelli in pianura. Farlo in montagna significa svegliarsi presto, camminare molto e andare in luoghi meno accessibili. Inoltre in montagna ci sono molte più diversità nel giro di pochi chilometri».

 

E nella tesi cosa ha affrontato di preciso?

«Uno degli argomenti principali e che viene ancora poco attuato è questa eterogeneità dell’habitat che in ambiente coltivati o con una grossa influenza dell’uomo, come l’area urbana, è fondamentale. Se pensiamo al fondovalle della valle dell’Adige troviamo meleti, vigneti e autostrada. Un deserto biologico. Integrare questo deserto con oasi naturali o semi naturali come siepi o alberi sarebbe molto importante per gli uccelli. Incrementare l’eterogeneità del paesaggio è fondamentale. Negli ambienti forestali bisogna invece mantenere la continuità».

 

E ora di cosa si occupa?

«Seguo il progetto sulla biodiversità dell’Alto Adige, con particolare focus sulla parte ornitologica. Poi di recente abbiamo vinto un progetto dove insieme all’università di Milano saremo coordinatori di un monitoraggio tramite audio degli uccelli in tutti e 22 parchi nazionali italiani. Da Pantelleria allo Stelvio, esclusi quelli sardi».

 

Vede il suo futuro in Italia o all’estero ci sono più opportunità?

«Sicuramente all’estero ci sono più opportunità e banalmente anche i salari sono molto più alti. Io ho sempre pensato che scegliere di andare via sia quasi una sconfitta. Ho fatto qualche esperienza fuori ma sono sempre tornato volentieri in Trentino. Il mio obiettivo è sempre stato quello di fare ricerca nel mio territorio. Comunque Eruac e Muse sono peculiarità del panorama italiano, sto lavorando bene e abbiamo la possibilità di fare tanto ancora».