L'editoriale

lunedì 13 Novembre, 2023

L’informazione inquinata

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Un gigantesco sversamento di false notizie sta inquinando il mondo dell’informazione. A pochi giorni dall’attacco sanguinoso di Hamas e dalla replica sanguinosa di Israele abbiamo assistito alla creazione di falsità con la patente di verità parallele. L’Unione europea ha chiesto ufficialmente a Meta (Facebook, Instagram e Threads) e a X (ex Twitter) di rimuovere i milioni di post con falsi contenuti

I conflitti e i focolai di tensione che stanno punteggiando con sempre maggiore gravità e insistenza il mondo sono diventati anche un terreno di applicazione di fake news, di disinformazione. Notizie create ad arte e diffuse per destabilizzare altri scenari, insinuare il dubbio dell’ennesima congiura o produrre propaganda per creare proselitismo. Ormai i principali istituti di analisi e storici accompagnano il loro lavoro di radiografi delle patologie belliche con report che devono anche ricondurre la realtà a ragione. A pochi giorni dall’attacco sanguinoso di Hamas e dalla replica sanguinosa di Israele abbiamo assistito alla creazione di falsità con la patente di verità parallele. Tra queste, cita un articolo dell’Istituto per gli Studi di politica internazionale (Ispi), che l’Ucraina avrebbe venduto ad Hamas le armi fornitele dall’Occidente, la produzione di raffinati videogiochi che riproducono scene di guerra mai accadute (l’unico piano dove il virtuale è comunque perdente…), commenti e notizie senza fondamento.

Tra queste, cita un articolo dell’Istituto per gli Studi di politica internazionale (Ispi), che l’Ucraina avrebbe venduto ad Hamas le armi fornitele dall’Occidente, la produzione di raffinati videogiochi che riproducono scene di guerra mai accadute (l’unico piano dove il virtuale è comunque perdente…), commenti e notizie senza fondamento. Solo sul conflitto israelo-palestinese TikTok ha annunciato che «dal 7 ottobre abbiamo rimosso più di 24 milioni di account falsi a livello globale e più di mezzo milione di commenti, generati in automatico dai bot, su contenuti con hashtag relativi al conflitto». L’Unione europea ha chiesto ufficialmente a Meta (Facebook, Instagram e Threads) e a X (ex Twitter) di rimuovere i milioni di post con falsi contenuti che sono cominciati a circolare come effetto dell’opposta propaganda.
Un gigantesco sversamento di false notizie sta, dunque, inquinando il mondo dell’informazione, la veridicità dei fatti, la corretta ricostruzione storica perché, evidentemente, questo fenomeno non riguarda solo operatori dell’informazione, opinione pubblica e attori coinvolti a diverso titolo, ma anche chi fa storia. La propaganda è sempre esistita, nella Seconda guerra mondiale vennero reclutati grandi intellettuali per studiare messaggi e psicologia di massa al fine di inserire elementi di dubbio nelle file avversarie.

Oggi il meccanismo è forse meno raffinato, ma pervasivo perché la quantità di informazione deviata immessa nei canali internet eccede di gran lunga quella prodotta professionalmente e genera disorientamento e adesione in un’utenza disarmata. Così si possono attribuire all’uno o all’altro fronte massacri con il corredo di false immagini, falsi video, false parole.

Non è semplice uscire da questo cortocircuito che si situa all’incrocio di diversi fenomeni. Intanto la nascita della rete ha comportato una profonda disarticolazione dell’informazione e della comunicazione. Come osservano Tommaso Piazza e Michel Croce in «Che cosa sono le fake news» (Carocci) «la rete ha disintermediato radicalmente il nostro accesso all’informazione: tutti possono accedere a (quasi) qualsiasi tipo di informazione, tutti possono immettere in circolazione qualsiasi tipo di informazione». Siamo diventati «inforgs», cioè organismi informazionali. L’informazione è l’ambiente in cui ci muoviamo e in cui determiniamo i nostri orientamenti. Se questa è infettata in modo sistematico da notizie mendaci è facile comprendere come sia il campo da gioco più delicato per una corretta rappresentazione dei fatti. Il referendum sulla Brexit e l’elezione di Donald Trump, entrambi nel 2016, sono stati i due eventi che hanno – nel giudizio degli esperti – fatto compiere un salto qualitativo alla disinformazione come ossessivo strumento di guida di opinioni pubbliche sempre più frantumate. È da allora che le «fake news» sono diventate qualcosa di diverso dal «falso» e dai «falsari» che abbiamo conosciuto lungo secoli di storia.

Per essere tale una fake news deve avere delle caratteristiche: la possibilità di essere virale; l’intenzionalità (anche se non è un requisito fisso); che il suo divulgatore la ritenga infondata alla luce della sua conoscenza e del dibattito, il che non implica necessariamente una mancanza di verità. Il compito di una fake news non è solo quello di ingannare o di depistare la realtà, ma anche di creare incertezza intorno ad un tema. È stato stimato che il 97% degli scienziati del clima condivida l’idea che viviamo in un passaggio storico caratterizzato da cambiamenti climatici e, nello specifico, da un processo di surriscaldamento del pianeta. Al di là dei negazionisti, la maggior parte delle informazioni deviate sul «global warming» sono tese, invece,a rappresentare la comunità scientifica divisa.

Poi c’è un altro lato del problema: chi aderisce alle fake news? Qui entrano in gioco diversi meccanismi. Intanto fattori psicologici, come i bias cognitivi. Sono gli automatismi mentali che applichiamo in scelte veloci: ci portano ad aderire alle notizie false perché queste confermano le nostre convinzioni o i nostri pregiudizi. Un secondo fattore sono le «bolle epistemiche». Sono gli spazi, come i social, in cui sostiamo molto tempo, che definiscono una parte della nostra identità come singoli e in rapporto ai gruppi. Quindi aderiamo ad una proposta che è condivisa. Infine, c’è una componente politico-biografica. In assenza di ideologie, di agenzie di formazione continua (come potevano essere i partiti), di luoghi di impegno collettivo siamo condizionati dall’esposizione della nostra biografia ai fatti della vita. Rabbia, rancore, felicità diventano bussole anche per convalidare una notizia «truccata».

Questo enorme flusso contaminato di informazioni ha poi potuto avere ancora più accoglienza per altri attributi della nostra epoca. La prima è il disconoscimento della competenza – dall’accademia alle élite ai gruppi di informazione – come elemento che garantiva una più o meno corretta elaborazione delle analisi sulla società e delle informazioni. Se lo storico, il fisico, il filosofo, lo scienziato, il politico, il giornalista non sono più attendibili perché anello di un complotto mondiale, non ci resta che affidarci a chi li vorrebbe smascherare.

I tragici eventi internazionali, le guerre in corso, offrono, quindi, un’altra inquietante sponda da cui guardare ai processi del mondo. E ci riporta ad una realtà instabile in cui bisogna muoversi selezionando attentamente la rappresentazione e il significato delle parole e dei fatti. Il dibattito completamente polarizzato su Israele e Palestina, in cui le notizie infondate diventano supporto per la propria visione, ci dice anche che questo accade con sempre maggiore frequenza per l’assenza dell’unico strumento regolatore delle comunità umane: la politica.