L'editoriale

lunedì 13 Novembre, 2023

L’improbabile Meloni femminista

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Giorgia Meloni è ormai elevata a femminista perché ha lasciato il compagno molesto. Della sua agenda poco conta. Eppure parliamo di un esecutivo conservatore che della tutela dei diritti delle donne, della prevenzione della violenza di genere, del superamento delle radici del patriarcato e della redistribuzione dei carichi di cura non si occupa e non s’è occupato. La sua emancipazione sul piano personale non viene tradotta in discorso politico, resta una sorta di eccezionalismo personale

Aver troncato una relazione che destava imbarazzo da tempo – a mezzo social e con metafore di dubbia comprensione, citando pietre e gocce, gocce e pietre – ha reso la premier clamorosamente e incomprensibilmente paladina dei diritti delle donne. I fuorionda di Andrea Giambruno consegnati al pubblico appetito serale di «Striscia la Notizia» sono apparsi ai più come le sconcerie di un uomo allupato, affaticato a sostare entro gli argini della monogamia. Quelle parole, in realtà, si configuravano pienamente come abusi sul luogo di lavoro. Atteggiamenti gravi, tanto gravi quanto la leggerezza con cui il giornalista – ormai ex della presidente del consiglio Giorgia Meloni – s’è avventurato in fantasmagoriche vittimizzazioni secondarie delle donne, colpevoli di arrischiarsi in passeggiate notturne, magari alticce, esponendosi alle fauci dei lupi (tradotto: abuser). Precisamente, in diretta disse: «Se eviti di ubriacarti, eviti di trovare il lupo». In quell’occasione Meloni non s’è scapicollata nel dissociarsi dai flussi di coscienza di Giambruno. Ma questa è un’altra storia.

A colpire, nella beatificazione recente di Giorgia Meloni, è la sostanziale assenza di argomenti legati all’agire di questo governo. Giorgia Meloni (per molte testate semplicemente Giorgia, perché la «diminutio» delle donne è frequentissima) è ormai elevata a femminista perché ha mollato il compagno molesto. Della sua agenda poco conta. Eppure parliamo di un esecutivo conservatore che della tutela dei diritti delle donne, della prevenzione della violenza di genere, del superamento delle radici del patriarcato e della redistribuzione dei carichi di cura non si occupa e non s’è occupato. Né nel primo anno di governo, né in questa manovra che introduce tasse sugli assorbenti, sui pannolini e trascura il nodo dell’occupazione femminile che ancora non corrisponde agli standard europei. In compenso la natalità è elevata a priorità totale. Ma per illuminare l’inverno demografico, sostenendo la natalità magari cogliendo l’occasione per ripensare i congedi, non c’è traccia alcuna.

Nella selva di bonus e contro-bonus, in cui pure un cittadino attrezzato rischia attacchi di labirintite, si dimenticano azioni coraggiose, strutturali e, sì, davvero femministe. Non che qualcuno se le aspettasse da una leader vicina al primo ministro dell’Ungheria Viktor Orbán, ma se oggi diventa portavoce dell’empowerment femminile il bisogno di riporre giustizia è quasi fisico.

Non va dimenticato che nel giorno stesso in cui fu proclamata prima donna a guadagnare un posto a Palazzo Chigi, Meloni ha sprecato un’occasione, rinunciando ad ammodernare la lingua italiana nei documenti ufficiali (come accade in tutte le democrazie moderne e come ha fatto Angela Merkel introducendo la parola cancelliera). Giorgia Meloni è «il presidente del consiglio dei ministri». O almeno è come vorrebbe essere definita, ma la deontologia giornalistica fortunatamente prevede altro.

Giorgia Serughetti, ricercatrice dell’Università di Milano, da tempo studia linguaggio e intenzioni della premier e di recente ha sottolineato la dicotomia tra le parole e le scelte politiche: «Lei dice: “sono una donna, una madre, sono cristiana” – scrive Serughetti intervistata dall’Huffpost – però ha fatto un figlio con un compagno senza sposarsi, e ha lottato per essere riconosciuta come donna di destra, interna a quella tradizione, ma una donna diversa. Ma questo non toglie che poi la sua visione politica sia di stampo conservatore, come si vede nei provvedimenti che il suo governo adotta. È stato lampante nel disconoscimento delle registrazioni anagrafiche dei figli di due madri. In Meloni non c’è coincidenza tra parole e fatti, tra biografia personale e convinzioni politiche».

Insomma, questa sua emancipazione sul piano personale non viene tradotta in discorso politico, resta una sorta di eccezionalismo personale. «Meloni offre sé stessa come modello di donna straordinaria, che può permettersi delle deroghe. Ma quello che vale per le donne di potere non vale per le donne comuni» conclude la ricercatrice.

Di buono c’è che Giorgia Meloni ha contribuito alla definizione della leadership femminile; così come Elly Schlein, segretaria del Partito democratico, è riuscita a svettare nell’eterna sfida maschile alla segreteria dem. Tuttavia con una bozza di manovra tra le mani, oltre alle osservazioni epidermiche, oggi varrebbe la pena sfogliare nel profondo cosa questo esecutivo sta facendo (o abdicando a fare) per le donne, intese solamente come veicolo per densificare la quota di nuovi nati.