L'INTERVISTA

domenica 8 Gennaio, 2023

L’ex senatore Molinari: «Il futuro di Riva è stato espropriato. Il Pd? Sta franando»

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L'ex consigliere comunale, sindaco, consigliere e assessore provinciale, nonché senatore per due legislature oggi ha 66 anni. «Comune unico? Difficile. Giovani esclusi, ci rifiutiamo di interpretarli»

Claudio Molinari, 66 anni, è stato consigliere comunale, sindaco, consigliere e assessore provinciale, senatore per due legislature. Oggi è un po’ uno “scrutatore non votante” nella vita politica trentina. Ogni volta che può si dedica a fare il nonno, ma continua a saggiare l’aria che tira. E la commenta a ruota libera.

Com’è la politica di oggi?
«Se riuscissimo ad interpretare l’atteggiamento dei nostri figli e nipoti sull’oggi capiremmo anche il domani. Mi domando se non ci stiamo rifiutando di farlo. E vale a livello locale, provinciale, nazionale. Stiamo rinunciando al futuro, perché costruiamo un mondo a immagine e consumo di una generazione che sta passando. È una questione politica. Una lettura sociologica dovrebbe aiutarci ad interpretare i nostri ruoli, anche politici. Invece sembra il futuro non sia lasciato in mano alle prossime generazioni».

Eppure voi siete stati giovani.
«Chi ha la mia età, dovrebbe bene saper decodificare e gestire questo tema. Non siamo quelli del ‘68, ma i primi ad essere arrivati dopo. Abbiamo vissuto il cambiamento senza esserne vittime. Questa generazione però oggi si è seduta, non ha saputo trasmettere dinamismo a chi è venuto dopo. Non ha funzionato la virtù politica e la trasmissione di valori».

Cosa vede nella sinistra di cui ha fatto parte?
«Ero convinto di poter partecipare all’unione di due culture che hanno fatto la storia dell’Italia…pensavo fosse la svolta. Ma non è così. E che quel partito stia franando è dato dal fatto che oggi in ballo ci sono le istanze di qualcuno che punta solo al quarto mandato. È una vera tragedia».

Tornerebbe in consiglio comunale a Riva oggi?
«Quando stavo al Senato ho impiegato un anno prima di prendere parola perché continuavo a pensare a chi era venuto prima di me. Poi ho iniziato ad ascoltare i colleghi e ho pensato che, a quel punto, potevo parlare anch’io. Nella mia ultima esperienza di amministratore comunale pensavo che taluni eccessi verbali ascoltati in aula fossero insuperabili. Mi si dice che però sono stati ampiamente superati oggi. La risposta, quindi, è che mi troverei un po’ in difficoltà».

Che ne pensa dei social?
«L’ansia di trasferire a tutti il primo pensiero che passa per la testa è esattamente ciò che non deve fare una persona intenzionata a partecipare all’agone politico. Questo richiede una mediazione, a tutti i livelli. È necessario anche trovare un linguaggio nuovo, rispettoso dei ruoli istituzionali. L’approccio delle persone che vogliono fare politica è lieve, non approfondisce la memoria, non ha mai tempo. Se ci si dedicasse alle relazioni si risolverebbero gran parte delle questioni, anche a livello amministrativo e anche a livello politico provinciale».

Come legge la politica provinciale?
«Essere nei panni di Fugatti non è facile. Segno dei tempi che sia sotto scorta per una questione di orsi, è inimmaginabile. Lui è molto preparato, il problema è la squadra: non ha un profilo significativo. Ma Tonina è un parafulmine, a Bisesti, nonostante sia giovanissimo, riconosco entusiasmo. Il consiglio provinciale è seduto sugli allori. Manca visione».

Quale ingrediente è venuto meno?
«Vanno recuperate le relazioni umane. Rileggiamo le lettere tra Degasperi e Togliatti. La relazione è sostanziale per inquadrare correttamente i rapporti politici. Prima dei consigli comunali io incontravo i proponenti per capire se una mozione poteva tornare utile non al sindaco, ma alla città. Oggi le mozioni vengono fatte sui reati di opinione. Servono gentilezza e umiltà. Umiltà come senso del limite. E coraggio di assumersi il rischio: se il metro è quanti voti guadagno e quanti perdo…è pochezza di identità personale e politica».

Perché l’Alto Garda non ha un rappresentante in Provincia?
«Non c’è una visione d’insieme in generale. Non riconosciamo i ruoli, l’opposizione non riconosce l’istituzione sindaco e giunta».

L’opposizione era il suo partito.
«Però io non credo che il problema di Riva sia la viabilità di via Venezia. Il problema più grosso è l’espropriazione in atto di tutto il futuro, con il venir meno del palazzetto dello sport, del palafiere, e ora il teatro, e la riduzione del palacongressi…e il “non si fa più questo e quello”. Tutto questo purtroppo nasce da scelte fatte nel decennio precedente, compresa quella di cedere la maggioranza di Palacongressi Spa ai privati, compresa la scelta di non acquistare l’area Cattoi, compresa la scelta di mettere in vendita le azioni dell’aeroporto Catullo, e le azioni della Lido nell’hotel».

Comune unico?
«Fui il primo a sostenere che serve un comune unico e allora fui irriso. Pensavo, con Ruggero Morandi di Arco, al terzo polo urbano, ma oggi non riusciamo a metterci d’accordo neanche su una piscina sovracomunale. Ora, ogni volta che c’è una questione tra persone, questa diventa politica. Pseudo-politica, diciamo. La politica è un’altra cosa».

Personalismi?
«Vedo la fatica di una conversione all’interesse pubblico. La partita politica viene vissuta come una prevaricazione di natura personale. Che qui da noi è evidentissima. Se non c’è un accordo tra le comunità politiche del territorio, non si può pensare di portare un rappresentante in consiglio provinciale, dopo due legislature in cui manca. È impossibile. E se qualcuno riuscisse ad arrivare in Provincia, non sarebbe di sintesi del territorio».

Chi proporrebbe?
«Ricordo lo sforzo per far eleggere Luca Zeni. Era giovanissimo allora. Oggi è ancora lì e vorrebbe il quarto mandato. Ho in mente qualche nome, ma non sono in prima fila oggi. In prima fila c’è il disastro della non collaborazione tra amministrazioni comunali».

Alessandro Betta si candiderà alle primarie Pd.
«Uno dei pochi che ha avuto l’estro di dire ci sono, per uscire da uno schema stantio. Ma non è sintesi, è contrapposizione».

Un consiglio ai giovani?
«Trovare la voglia. La voglia. E il primo anno, tacere e imparare cos’è un bilancio. E stare sui temi. Non parlare dei massimi sistemi né interessarsi di chi beve il caffè con il sindaco. Non si tirano fuori cose come queste in consiglio comunale come detrimento della sua figura. E nello stesso tempo, da sindaco riconosco il diritto di critica e quindi se mi criticano non mi alzo e me ne vado. Ma qui siamo già sottosoglia. Se fossi consigliere d’opposizione farei al sindaco una serie di domande che non sono quelle che le vengono fatte oggi».