Il viaggio

lunedì 28 Novembre, 2022

Le frontiere dell’ecoturismo

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«Buenvivir». Emanuele Rippa e Adela Zotaj sono partiti: ne è nato un progetto fotografico per raccontare le comunità locali e i loro protagonisti

Un viaggio alternativo, «lontano dai paradigmi occidentali, per ricercare l’autenticità delle cose e vivere la vita delle comunità locali». «Buenvivir» è un progetto fotografico, sostenuto da Banca Etica, Fondazione Altromercato e ideato da Emanuele Rippa e Adela Zotaj, due ragazzi di Trento che la scorsa estate sono partiti, zaino in spalla, per un viaggio in Ecuador. Il progetto nasce dall’esigenza di differenziarsi dal turismo consumistico occidentale per vivere a 360 gradi la vita delle comunità native ecuadoriane.
«Volevamo qualcosa di diverso da un semplice viaggio turistico. Abbiamo scelto l’Ecuador perché è uno dei pochi Paesi che ha inserito il concetto del Buenvivir nella sua costituzione», spiega Emanuele. Che poi chiarisce cosa questo rappresenti: «È una filosofia in opposizione a quelli che sono i valori capitalistici, che vuole affrancarsi dallo sfruttamento, preferendo una vita di comunità, in armonia con le persone e con l’ambiente». Insomma, il Buenvivir, più che un modello di sviluppo alternativo, si potrebbe dire «un’alternativa allo sviluppo».
Assieme a Emanuele c’è la sua compagna Adela, grande amante della fotografia, il perno attorno al quale ha preso vita il loro progetto. «Volevo provare a mettermi in gioco – racconta Adela –. Volevo che la macchina fotografica fosse la mia borsa da viaggio, per vivere un’esperienza a contatto con le comunità locali, ma anche per raccontarla a modo nostro».
La scelta di un viaggio alternativo, vivendo in simbiosi con gli abitanti del posto, nasce dalla convinzione che lo stile di vita occidentale abbia un grosso impatto, spesso negativo, sui Paesi in via di sviluppo, dai quali estraiamo risorse in maniera insaziabile e indiscriminata. Il turismo tradizionale, quello intensivo, non è da meno. Nonostante porti ricchezza a questi Paesi, nella stragrande maggioranza dei casi il flusso di capitali si concretizza nei grandi centri urbani delle metropoli, e si limita a strati sociali privilegiati, mentre le comunità locali ne pagano i costi. Alla base del progetto c’è quindi la volontà di fare un viaggio «rispettoso e coerente con la vita delle comunità locali».
«Abbiamo conosciuto delle realtà ecuadoriane molto virtuose a riguardo», che sono riuscite a conciliare le esigenze dei viaggiatori con la vita dei nativi attraverso ciò che viene definito turismo ecologico, forma antitetica a quello intensivo. «È un turismo che si impegna ad essere rispettoso non solo della natura circostante ma anche del benessere e delle culture dei suoi abitanti».
Cosa significa in Ecuador ci viene spiegato da Adela ed Emanuele attraverso un’esperienza vissuta in prima persona. «L’industria del cacao è una fetta importante della sua economia che però si limita alla coltivazione della pianta, che poi viene trattata nei paesi del nord del mondo», producendo così un alto grado di dipendenza verso questi ultimi. Non tutto funziona in questo modo.
«Abbiamo visitato un’azienda produttrice di cacao che si è affidata a produttori del posto. Organizzava tour affinché i turisti potessero conoscere le realtà locali e acquistare i loro prodotti». L’effetto benefico di questa forma di turismo è doppio: da una parte si favorisce l’offerta aggregata direttamente sul territorio, mentre dall’altra si generano nuovi posti di lavoro all’interno delle comunità indigene. E non solo. «Va inoltre considerato il basso impatto sull’ambiente e sulle culture del posto». Si può quindi essere turisti senza stravolgere le realtà locali.
Durante il loro soggiorno a Quito, hanno vissuto in prima persona una manifestazione delle comunità indigene contro l’agenda politica del governo Lasso. «Si facevano giorni di cammino per sostenere la loro causa, hanno una forza di volontà incredibile». A manifestare c’erano le tribù, unite tutte assieme in difesa della foresta, la loro casa. Una signora anziana tutta ricurva su sé stessa, «si dirige da sola verso la polizia e inizia a battere un battone sugli scudi dell’antisommossa, una immagine che sempre mi resterà in mente», dice Adela. Quella ecuadoriana è una élite politica che non ha interessi nel difendere e preservare i loro territori, molto pervasiva, tanto da «minacciare e sabotare in ogni modo» gli attivisti che si prodigano in difesa dell’ambiente. «I governi hanno tutto l’interesse a favorire le grandi aziende che esportano. Le popolazioni indigene sono povere, hanno solo la loro terra», spiega Adela, che aggiunge: «Sono lasciate in balia degli interessi di governi corrotti e multinazionali». La loro priorità diventa dunque difendere la propria terra, la propria vita. Emanuele ci racconta come questa sia per loro una minaccia esistenziale che si tramuta in lotte estremamente concrete. «In Europa i movimenti ambientalisti si battono per un futuro migliore, per la conservazione del pianeta, mentre per loro la lotta riguarda il domani», la quotidianità. «Abbracciano istanze molto concrete, combattono le minacce più prossime come i petrolieri, le aziende minerarie e di cacao», cosa che hanno avuto modo di verificare in prima persona. «
La lezione più importante, dicono Emanuele e Adela, è che il concetto di Buenvivir impone una riscoperta di tempi e spazi, che vengono stravolti, dilatati al massimo. Presuppone la valorizzazione dell’ambiente circostante e dei suoi abitanti per vivere la vita in maniera olistica. «In Ecuador abbiamo fatto esperienza di una vita più lenta, dove è meno importante correre da un posto all’altro e più importante vivere senza fretta i rapporti umani». Da qui nasce il desiderio di portare questo stile di vita sul nostro territorio. «Perché farlo – dicono – avrebbe un impatto positivo sulle nostre comunità, alla ricerca di un futuro meno distaccato dalla natura, meno individualista e realmente vissuto».