Cultura

domenica 17 Settembre, 2023

L’amore secondo Lamarque: «È un saliscendi continuo»

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La poeta presenta il suo libro «L’amore da vecchia» a Riva del Garda: «Vedo la poesia lì, ferma nel tempo come una montagna circondata da pianure»

Lamarque cancella dal vocabolario ogni pregiudizio legato alla parola «vecchia» e la usa senza sfumature, con orgoglio, fino a inserirla nel titolo della sua ultima raccolta di poesie, «L’amore da vecchia» (Mondadori). E non solo: accostandola ad «amore», smussa, fino a cancellarlo, quell’effetto stridente legato più a pregiudizi che non alla realtà dell’esistenza. Sì, perché, al di là del «vecchio» adagio che ci ricorda che «l’amore non ha età», la poeta, una delle voci di maggior rilievo del panorama italiano, ci accompagna in un itinerario personale che, nelle nove sezioni che compongono la raccolta, prende varie direzioni, ma sempre sotto l’insegna di amore. Un amore che, sia pur senile, non è stanco di generare incanto e ingenuo stupore davanti ai «minimi colori della vita», davanti a una passione «unidirezionale», quella che «Ics», uomo più giovane di lei di cui si è innamorata, non le ricambia («…mai/ un bell’albero in fiore una fogliolina gialla guarderà»), o davanti alla consapevolezza dell’avvicinarsi al limitare della morte, al momento dell’inevitabile «ultimo pensiero».
Nata nel 1946 a Tesero e vissuta da sempre a Milano, Vivian Lamarque con questa raccolta ha vinto recentemente il premio Umberto Saba Poesia per l’ironia e la leggerezza con cui affronta il tema che dà il titolo all’opera ed è entrata nella cinquina finalista del Premio Strega Poesia 2023 che verrà assegnato a Roma il prossimo 5 ottobre. Nella giornata odierna è una delle protagoniste della rassegna letteraria «Intermittenze». L’appuntamento è alle 18 alla Spiaggia degli Olivi a Riva del Garda, dove leggerà alcune sue liriche e dialogherà con il pubblico.
Vivian Lamarque, ne «L’amore da vecchia» lei inserisce, come dei cammei, riferimenti più o meno espliciti ai grandi poeti del passato, da Catullo a Jane Austen («una violetta la chiamava/ come la Austen-/ Jane»), da Ugo Foscolo a Umberto Saba e Sandro Penna. Un omaggio alle grandi voci del passato?
«Me ne sono accorta dopo, a libro terminato. Faccio finta che si siano infilati da soli per farmi compagnia e augurarmi: “buon libro”».
Quale ruolo ha il suono nelle sue poesie che, nel loro andamento apparentemente piano, quasi colloquiale, sono costruite calibrando minuziosamente parole e immagini?
«Grande. Mentre le scrivo, le pronuncio ad alta voce. Ma mai abbastanza. Poi, durante le letture pubbliche, mi accorgo che qualche sillaba stona. Per questo i miei libri hanno tante correzioni a matita. Solo raramente le cancello: decido che era meglio prima!».
I segni di interpunzione dei suoi versi sembra che non si limitino a creare delle cesure poiché appaiono piuttosto come delle guide che ne regolano l’intonazione. Preferisce che le sue poesie vengano lette in silenzio o ad alta voce?
«Tutte due! Leggeteci tanto! “… da vivi di più/ da morti di meno/ che tanto non lo sapremo”. A proposito di interpunzioni… con l’età aumentano vertiginosamente. Mi domando tutto e rispondo niente».
Nelle liriche de «L’amore da vecchia» l’amore viene vissuto con gioia o disillusione, ma sempre con un sottofondo di ironia, sia che si parli di un sentimento non corrisposto sia che si rimanga incantati davanti alla manifestazione della bellezza della natura anche nelle cose più semplici. In una sua scala personale che ne segna l’intensità, quale forma di amore occupa lo scalino più alto? E quello più basso?
«È un saliscendi continuo. Un uomo può essere sorpassato da un albero e il giorno dopo viceversa. Da una settimana sette, otto volte al giorno, anche di più, vado alla finestra a guardare fisso il platano della fermata del tram. Prima, quando era vivo, non lo guardavo mai e ora che lo hanno segato sempre. Pensavo: “Come si sentirà solo…”, invece adesso le persone lo usano come seggiolino aspettando il tram e mi pare contento. È come fosse ancora vivo, serve a qualcosa. Speriamo succeda anche a noi qualcosa del genere».
Amore (ce lo dice nelle sue precedenti raccolte) significa anche sofferenza. La poesia può essere un antidoto, un aiuto o ne intensifica i toni?
«La poesia può un po’ salvare, ma può anche ammalare, come mi stava succedendo. Stava diventando tutto di carta “la realtà era abdicata/ splendidissima regnava la vita immaginata”. A 38 anni iniziai l’analisi junghiana col Dott. B. M. e fu la salvezza. Ricordo in particolare questo sogno: un orso mi inseguiva, aveva fame, io fuggivo spaventata, poi mi voltavo, gli allungavo un biberon ma anziché latte conteneva carta straccia stampata».
Avrebbe dato questa stessa risposta anche quarant’anni fa?
«Forse no. Quarant’anni fa l’analisi l’avevo appena iniziata».
Quale ruolo ha la poesia nella società contemporanea? Quale vorrebbe che abbia?
«Vedo la poesia lì, ferma nel tempo come una montagna circondata da pianure. Non conosce la parola ruolo. C’è».