Medicina
sabato 31 Agosto, 2024
di Marco Ranocchiari
Sembrano due campi molto distanti. Eppure il mondo della lotta contro il cancro, dai ricercatori ai medici di base, e quello dei media, sono molto più vicini e interconnessi di quanto si pensi. Non solo per gli estremi della fake news che propongono false soluzioni alternative, tanto costose quanto inefficaci e spesso dannose, ma per una tendenza alla spettacolarizzazione di notizie e scoperte che può alimentare tanto le paure quanto le false speranze e quindi terribili delusioni per malati e familiari, per cui, in primo luogo, non si deve mai perdere il rispetto. Un marasma di informazioni che rischia di nascondere gli enormi progressi della medicina oncologica degli ultimi tempi, dai vaccini per alcuni tipi di cancro ai farmaci a bersaglio molecolare per cui, sì, si deve e si può usare un ottimismo. Ne è convinto Giampaolo Tortora, professore di Oncologia Medica all’Università Cattolica a Roma e direttore dell’Oncologia Medica e del Cancer Center del Policlinico Gemelli, che cura circa 60 mila pazienti oncologici all’anno. Da tempo collaboratore della Fondazione Pezcoller, Tortora ha preso parte a un nuovo corso di formazione ideato dalla Fondazione e dedicato ai giornalisti.
Professor Tortora, quanto è importante una comunicazione corretta?
«Moltissimo, è un tema fondamentale che noi oncologi viviamo quotidianamente. L’enorme disponibilità di dati cui dà accesso internet è una buona notizia per molti motivi, ma è anche un’informazione non filtrata ed eterogenea. Chi legge non sa chi sta scrivendo e quanto è competente. Poiché si parla di cancro e non di malanni lievi, i pazienti cercano le informazioni più precise possibile e per fortuna, sempre più, evitano siti non qualificati, spesso inutilmente terrorizzanti. La qualità dell’informazione diventa sempre più importante. Questo è uno dei motivi per cui abbiamo condiviso con il Dr. Galligioni la necessità di rivolgerci ai professionisti della comunicazione per dare informazioni sempre più precise».
In cosa sbagliano siti, programmi tv e radio e anche i giornali ?
«Diffondere informazioni false è facilissimo. Per esempio le fake news sulle terapie alternative, che circolano da decenni e tornano di moda periodicamente. O vari cosiddetti integratori. Spesso i pazienti li provano dicendosi “tanto, male non fanno”. E invece si possono fare pasticci: alcune sostanze hanno interferenze con i farmaci usati per le terapie. Tanto più perché spesso i malati che ne fanno uso non lo dicono al medico, esponendosi a effetti collaterali importanti. Questo non è però l’unico problema».
A cosa si riferisce?
«Alla tendenza alla spettacolarizzazione, ad esempio delle possibili cure, quando ricerche di laboratorio promettenti vengono date come imminenti e di grandissimo impatto. Quando escono titoli come “Scoperta nuova chiave per colpire le cellule tumorali”, subito dopo noi riceviamo tante email da persone a cui dobbiamo magari rispondere che finora quei farmaci sono stati sperimentati a malapena sui topi. Si deve avere attenzione per i pazienti, soprattutto per quelli che hanno subito trattamenti che non hanno funzionato. Perché dopo la falsa speranza arriva la delusione e la depressione. È una questione di rispetto in primo luogo».
Accennava però a una maggiore consapevolezza anche da parte dei pazienti e delle loro famiglie.
«Sì. Sono sempre di più coloro che si rivolgono a siti come quello dell’Airc, con cui collaboro, che contengono informazioni accurate e dettagliate. Ma se anche fosse solo il 10% dei malati ad andare sui siti sbagliati parleremmo di centinaia di migliaia di persone in Italia e nel mondo».
Tornando alle terapie alternative. Dopo i casi famosi di qualche anno fa, come il metodo Di Bella, sono ancora così diffuse?
«Ne circolano un’infinità, dalla cartilagine di squalo allo scorpione cubano, a varie erbe. Sostanze costose e prive di efficacia che arrivano a costare anche mille euro al mese ai pazienti. I media dovrebbero avere più attenzione».
Non è più efficace ignorare queste informazioni che smentirle dandogli ulteriore pubblicità?
«Queste informazioni non capitano per caso ai pazienti, sono loro che le cercano. Per cui non bisogna ignorarle ma smentirle con solide argomentazioni scientifiche».
Anche i ricercatori possono fare qualcosa nella corretta comunicazione?
«Se è vero che i media usano spesso troppa enfasi, a volte nei clinici c’è troppa diffidenza, legata a tante delusioni nei risultati vissute tutti i giorni e alla consapevolezza che perché una scoperta importante salvi vite ci vorranno anni. Le cose vanno spiegate bene, con la giusta fiducia nella ricerca. Senza esagerare, per non alimentare disillusione e poi anche depressione nei malati».
A proposito di ottimismo, di novità positive ce ne sono. Quali sono le nuove terapie più promettenti?
«Negli ultimi anni ci sono stati importanti sviluppi in vari campi delle terapie antitumorali. Le innovazioni maggiori sono nei farmaci a bersaglio molecolare e nell’immunoterapia».
In cosa consistono, per grandissime linee, queste terapie?
«Nel campo dei farmaci a bersaglio molecolare, tra i più promettenti ci sono i cosiddetti farmaci-anticorpi coniugati (Adc, antibody drug conjugates): si tratta di anticorpi monoclonali attaccati fisicamente a un potentissimo chemioterapico, che lo portano, come una bomba, direttamente sul bersaglio. E poi c’è il grande mondo dell’immunoterapia, con farmaci che stiamo già utilizzando ora (immune checkpoint inhibitors), nuovi anticorpi multifunzione, che stiamo sviluppando, e i vaccini, in cui riponiamo tantissime speranze. Le CAR-T, linfociti ingegnerizzati sul singolo paziente, sono un’altra strategia che già ha dato risultati molto buoni nei linfomi».
Per non alimentare, appunto, false speranze. A che punto siamo?
«Alcune di queste terapie, in tutti i campi cui ho accennato, sono molto avanti, in fase 3 della sperimentazione clinica, in cui si comparano con il miglior trattamento esistente. La maggior parte sono in fase 1 e 2. Siamo a buon punto. Se le cose andranno bene nell’arco di 2 o 3 anni potremmo avere la disponibilità di alcuni di questi nuovi farmaci».
Qual è la situazione con i vaccini?
«Sono stati ottenuti importanti risultati nel melanoma e abbiamo studi in corso di fase 2 su altri tipi di tumori diversi, come quelli alla vescica, rene, polmone. Queste sono le avanguardie delle terapie».
Ormai è noto che l’incidenza dei tumori sta aumentando. Questa battaglia la stiamo vincendo o perdendo?
«I tumori aumentano, in modo piuttosto preoccupante anche nei giovani. Sulle ragioni si può richiamare una serie di fattori, dalla qualità degli alimenti ai cattivi stili di vita all’inquinamento. Una cosa però è certa, nonostante questo aumento di incidenza non abbiamo un aumento della mortalità. È un dato che fa ben sperare: significa che gli screening e l’efficacia delle terapie a disposizione hanno un ruolo e un impatto determinante».