L'esperta

mercoledì 29 Novembre, 2023

La sessuologa: «Ragazzi impauriti dalla prima volta. L’età del primo rapporto si alza»

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Francesca de Pretis è un’educatrice sessuale, si occupa di formazione dalle elementari all’università: «Il porno ha creato insicurezze nei propri corpi, le ragazze mi chiedono "se è violento che faccio?"»

In un tempo storico in cui si invoca l’educazione sentimentale, sessuale e affettiva come antidoto a violenza e femminicidi, c’è da sapere che qualcosa il mondo della scuola sta già facendo e soprattutto ci sono figure professionali che si stanno specializzando in formazione all’affettività e alla sessualità e lavorano con le scuole fin dalle elementari. Francesca de Pretis è educatrice sessuale, ed è l’esperta intervenuta al Liceo Rosmini nel laboratorio sul quale l’associazione Pro Vita è intervenuta con critiche pesanti (il T di ieri): laureata in Educazione Professionale a Rovereto, si è poi specializzata in educazione sessuale ed entra negli istituti scolastici trentini per progetti e laboratori.
L’educatrice sessuale si occupa di sessualità a 360 gradi ma diversamente dal sessuologo non ha un obiettivo di tipo medico, non propone diagnosi e terapie, ma fa consulenza di tipo educativo, formativo e divulgativo. Così Francesca de Pretis entra nelle scuole, dalle elementari (sì, dalle elementari) all’università, e in tutti quegli enti dove c’è da formare alla relazione.
Quando bisogna iniziare a parlare di questi argomenti per fare della prevenzione vera?
«Parlare di consenso, rispetto, anti violenza a scuola, e fin dalle scuole medie almeno, ma lo si può fare anche dalle quinte elementari, è fondamentale. E devono farlo dei professionisti che hanno una visione a 360 gradi. Nei ragazzi delle superiori l’idea del possesso, della gelosia, l’idea che uno è dell’altro, che amarsi significa fondersi e quindi se fai qualcosa di diverso significa che non mi ami più, sono concetti già radicati. Sono cose che ci sono già nell’adolescenza, se vogliamo anticipare va fatto alle medie: ma il tempo dedicato oggi è talmente poco che si finisce spesso a fare degli approfondimenti su poche cose o a parlare di tutto ma superficialmente. Ben venga che esistano progetti esterni alla scuola, spazi liberi a cui i ragazzi e le ragazze possono rivolgersi».
C’è qualche domanda ricorrente?
«La domanda più comune, nei miei dieci anni di lavoro, è “Fa male la prima volta?” oppure molto spesso mi fanno anche domande che iniziano con “Sono normale se…”. C’è un grandissimo bisogno di essere rassicurati, sul piano fisico e su quello emotivo: in parte è legato all’adolescenza, il momento per eccellenza nel quale cambiamo e quindi abbiamo bisogno di essere uguali agli altri per poterci nascondere dentro il gruppo, in parte sulla sessualità è legato a come e chi parla di sesso oggi. I ragazzi e le ragazze cercano soprattutto rassicurazioni, solo dopo averne ricevute chiedono altro. E’ una normalizzazione del sesso che cercano, in un mondo iper sessualizzato si stanno tirando indietro: gli ultimi dati ci dicono che l’età della “prima volta” sta salendo».
Quindi hanno più paura che desiderio?
«Certo. Hanno decisamente delle paure, d’altronde l’immagine del sesso che viene dal porno, che vedono online, dai social per quanto riguarda il corpo, fa paura: dobbiamo essere perfetti, tonici, muscolosi, avere sempre voglia ed essere sempre pronti. Ragazzini anche delle medie, soprattutto i maschi, hanno paura di essere ridicolizzati dalla loro compagna una volta nudi, c’è tanta ansia da prestazione proprio perché hanno davanti degli esempi totalmente irreali e non hanno spazi dove parlare e cercare invece la realtà. Le ragazze fanno domande sulle relazioni pericolose: mi chiedono “se è violento che faccio?”».
Parliamo della relazione con l’altro, quanta consapevolezza c’è in ragazzi e ragazze dei segnali di una relazione tossica?
«C’è un grande discorso da fare su quanto siano consapevoli di certe cose: per esempio le tipologie di violenza non sono tutte chiare e riconducibili ad elementi fattuali per loro. Spesso sanno che alcune cose sono pericolose, ma è un concetto teorico perché quando si scende nei dettagli chiedendo loro di esprimersi su alcuni comportamenti e decidere se sono adeguati o meno sono ancora indifesi. Se chiedo ad una classe se la gelosia o la possessività sono positive o negative, la grande maggioranza riconoscerà la negatività, ma quando declino i comportamenti possessivi, per esempio controllare il cellulare del partner, allora cade tutto, il dubbio e i distinguo arrivano. C’è una conoscenza, ma non ancora una presa di coscienza piena».
Quanto è importante fare educazione sentimentale e affettiva?
«Credo sia importante che almeno in parte rimanga nella scuola, perché la scuola è dell’obbligo fino a 16 anni e così possiamo essere sicuri che tutti e tutte possano avere a che fare con questi argomenti. Non possiamo responsabilizzare però solo la scuola, perché non è sufficiente: quello è uno spazio privilegiato ma servono anche progetti esterni, luoghi dove possono andare liberamente. Ci sarebbero i consultori, ma dai ragazzi sono percepiti come spazi dove si va se c’è un problema sanitario, non per informarsi o fare domande di altro tipo».