editoriale

lunedì 13 Marzo, 2023

La questione democratica

di

Un’Autonomia senza un’opinione pubblica strutturata non è destinata a sopravvivere e la sua sorgente può essere solo il confronto e la concorrenza, la difesa di una società aperta

C’era una volta un re. A proposito di regni e frontiere, che sono poi la chiave di tutto, un filosofo sosteneva che sono il luogo dove ciascuno di noi si sceglie e sceglie. È lì che sono in gioco gli universali, le concezioni del mondo. Dovremmo avere una particolare sensibilità, qui in regione, siamo immersi nelle frontiere e ne osserviamo tutti i giorni le trasformazioni. Perché siamo noi, con i nostri comportamenti e i nostri valori, ad attribuire loro una direzione. Soprattutto la frontiera è un processo e in quanto tale non è mai concluso.
C’era una volta un re. A proposito di regni e convivenze (plurale), spesso il discorso sull’Alto Adige/Südtirol precipita sull’equilibrio costruito intorno al concetto di minoranza. Un equilibrio politico-etnico e anche economico per disinnescare la tensione di un passaggio di frontiera. Quest’equilibrio si fonda oggi su un consenso e un potere che sono organizzati con disciplina e ordine, con sistematicità. Per qualcuno è la ricetta della felicità e del benessere – essere allineati e godere dei suoi frutti – che prevede relazioni solo se animate da sudditanza. Normale che in una comunità, piccola ma grande, questo possa creare disagio e dissenso. Le concezioni della frontiera si dovrebbero affermare nel libero scambio delle opinioni e non nello schema di un potere. Ma soprattutto chi ha costruito intorno al concetto di minoranza una riflessione ancora aperta può concepire la sparizione della minoranza dissenziente?
C’era una volta un re. A proposito di regni e rappresentazioni, esiste davvero nei giorni attuali un modello politico altoatesino/sudtirolese? Bisognerebbe scindere la genesi storica dell’Autonomia, le sue differenti stagioni (e la ripartenza del Secondo Statuto) con l’assestamento – in un regime di partiti e culture più deboli – che costruisce i suoi equilibri sulle contingenze. Le nuove generazioni e le commistioni culturali (l’ideale langeriano in parte disatteso perché il livello di interazione tra le comunità linguistiche non è la cifra comunitaria) sono una traiettoria aperta. Però un modello si misura anche dal suo livello di libertà, di estroversione, di concentrazione del potere rappresentativo e decisionale. La rappresentazione, non lo si pensa mai, è il modo di descrivere una società e le sue articolazioni. È l’esercizio di potere più delicato in democrazia perché si decide chi apparirà nel grande dipinto collettivo, chi apparirà al margine e chi non apparirà affatto. Se la definizione di modello non transita solo per l’estetica, si può dire che la provincia autonoma di Bolzano è uno spazio geopolitico di enorme fascino e potenzialità, ma che da tempo sperimenta rischiosi cortocircuiti e declina verso sistemi di governo non così innovativi.
C’era una volta un re. A proposito di regni e cultura, alla frontiera associamo sempre l’immagine dell’andirivieni, del passaggio, del movimento. È contraria al fotogramma fisso. Simboleggia il trasbordo di vite, ma offre anche uno spazio tra le due sponde dove accadono le relazioni. Il grande scrittore caraibico Édouard Glissant aveva mutuato dalla natura una metafora sociale e culturale: la radice rizomatica. È quella, per capirci, che prolifera orizzontalmente in numerose ramificazioni che tendono ad intrecciarsi. Si differenzia dalla radice unica che scende in profondità verticalmente senza opposizioni. La radice rizomatica è un’idea di relazione che «esige l’abbandono di preconcetti, pregiudizi, privilegi e impone la ricerca, al di là delle differenze necessarie e innegabili, di possibili punti di contatto nell’intricato reticolo dei rapporti umani» (Elena Pessini). Ogni biografia esprime, in questo modo, una possibilità.
C’era una volta un re. A proposito di regni e informazione, è una spia di malessere di una società quando si cerca di eliminare una voce critica – come quella di Salto.bz – che nel suo sito, utilizzando il tedesco e l’italiano, è voluta uscire da un rituale rappresentativo. E c’è qualcosa di deprimente nel fatto che chi detiene l’80% del mercato dell’informazione – il Gruppo Athesia – accusi di «stalking mediatico» chi si sforza di far sopravvivere un’altra idea. È il rovesciamento della realtà e dei ruoli. Però è anche il riconoscimento politico di un’esperienza di informazione decennale – come ha sottolineato uno dei cofondatori, Maximilian Benedikter – e di un malessere, magari minoritario, ma percepito come insopprimibile (l’appello di Heinz Heiss ha già raccolto 1200 adesioni). Tra i 58 articoli contestati ci sono anche quelli costitutivi del T che hanno l’aggravante dell’eversione pluralista. Il pensiero unico si ciba anche delle tante corrispondenze di piccoli e grandi interessi, da Bolzano a Trento, a cui la qualità democratica interessa poco o nulla. Ma un’Autonomia senza un’opinione pubblica strutturata non è destinata a sopravvivere e la sua sorgente può essere solo il confronto e la concorrenza, la difesa di una società aperta.