L'editoriale

venerdì 16 Dicembre, 2022

La politica degli opposti

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«Rappresentare la differenza è un affare complesso» – come spiegava con tagliente chiarezza il sociologo Stuart Hall – che mobilita una molteplicità di sentimenti, attitudini, ansie ed aspettative spesso divergenti

Ad Alicante in questi giorni si è svolto il summit dell’EUMed9, l’alleanza di nove paesi Europei – Croazia, Cipro, Francia, Grecia, Italia, Malta, Portogallo, Slovenia e Spagna – nata nel 2013 per promuovere il coordinamento all’interno dell’area del Mediterraneo su temi cruciali: sostenibilità energetica ed ambientale, stabilità economica, crescita sociale e, ovviamente, flussi migratori. Inquilini di uno stesso spazio comune (quello europeo), ma con un affaccio del tutto esclusivo rispetto ad altri (quello sul Mediterraneo), i paesi dell’EUMed9 da quasi un decennio sono impegnati in un difficile sforzo di coordinamento al quale, ammettiamolo, non abbiamo mai prestato particolare attenzione fino a qualche giorno fa.
L’interesse mediatico e, di conseguenza, pubblico per il summit EUMed9 di quest’anno non ha nulla a che fare con l’impegnativo compito che l’alleanza si prefigge di raggiungere né tantomeno deriva da un riconoscimento genuino dell’imprescindibilità dei temi sul tavolo. Abbiamo puntato lo sguardo su Alicante perché lì Meloni e Macron si sarebbero dovuti incontrare vis-à-vis e avrebbero dovuto discutere – forse speravamo litigare – a proposito della “crisi” italo-francese nata il mese scorso in connessione con gli sbarchi dalla Ocean Viking a Tolone. Una volta realizzato che la disputa sarebbe stata rimandata a data e luogo da destinarsi, Alicante, l’EUMed9 e tutti i problemi del bacino del Mediterraneo (e non solo) sono tornati nell’oblio collettivo.
Esaminata più da vicino, la narrazione pubblica del summit di Alicante offre un perfetto esempio di come vengono tipicamente raccontate le dinamiche politiche correnti: riducendo tutto ad una aspra battaglia tra due poli opposti che spesso sono incarnati in singoli individui a loro volta ritratti come rappresentanti di gruppi o comunità omogenei. Così, nel racconto mediatico e, di conseguenza, nel discorso pubblico Meloni e Macron da soli impersonano per intero l’Italia e la Francia e, a seconda dei punti di vista, un paese vittima e uno complice di una Unione Europea che non si occupa dei migranti; oppure un paese che si affaccia sul pericoloso crinale del conservatorismo di destra e uno che si adopera per fare dell’Europa una vera potenza democratica e liberale (a voi decidere chi pensa cosa).
Se vi sembra un racconto fin troppo semplice è perché, in effetti, lo è. Questa rappresentazione dicotomica e necessariamente escludente del fare politica è una semplificazione forzata di questioni estremamente complesse nelle quali non esistono una Italia, una Francia né tantomeno una soluzione”. Potremmo anche non soffermarci su questo punto se non fosse che questa narrazione semplicistica e antagonistica, reiterata costantemente dai media e rimbalzata nella miriade di post e tweet che circolano ogni minuto, cementa la forma mentis attraverso la quale riconosciamo, interpretiamo ma anche pratichiamo la politica. Svuotata di ogni complessità e di ogni sfumatura, la politica diventa una facile contrapposizione di opposti dove la sostanza non è affrontare il problema ma sottolineare ripetutamente la differenza tra noi e gli altri, i nostri avversari, chiunque essi siano.
«Rappresentare la differenza è un affare complesso» – come spiegava con tagliente chiarezza il sociologo Stuart Hall – che mobilita una molteplicità di sentimenti, attitudini, ansie ed aspettative spesso divergenti e che difficilmente si ha tempo, pazienza, modo e, soprattutto, volontà di prendere in considerazione. Hall sosteneva che il contrasto degli opposti (ad esempio, bianco/nero, noi/loro, accoglienza/chiusura) è uno schema cognitivo conveniente e del quale non sappiamo fare a meno perché ci permette di «catturare la diversità del mondo all’interno della contrapposizione tra estremi» e di posizionare le nostre identità e i nostri desideri in relazione «a questo o a quell’altro». Allo stesso tempo, specificava il sociologo, questi schemi binari ed esclusivi sono un modo «crudo e riduzionista» di costruire un significato perché «ingoiano» (per usare le parole di un suo saggio del 1997) «tutte le differenze all’interno di una rigida struttura bipartita».
Raccontare e, in effetti, gestire le missioni SAR (Search And Rescue, letteramente, ricerca ed assistenza) in mare riducendole alla contrapposizione tra Meloni e Macron e, per estensione, tra Italia e Francia serve soltanto a ribadire ancora una volta che la questione migratoria è un campo di conflitto. Molto semplicemente, credo che non ci fosse alcun bisogno di questo ennesimo promemoria e, di conseguenza, che questa politica facile degli opposti sia inutile e deleteria. Non solo restituisce un racconto semplificato e pallido del conflitto politico che non permette di comprendere che, in realtà, Meloni e Macron (e quindi, l’Italia e la Francia) sono assolutamente d’accordo perché, al di là di questi giochi di ruolo, entrambi continuano a pensare e ad agire politicamente come se le e i migranti fossero un peso, un fardello, un impiccio, un problema del quale nessuno in realtà si vuole veramente occupare. Ancora più grave, dal mio punto di vista, è ciò che questa politica facile degli opposti si «ingoia»: le persone – perché, non dimentichiamocelo, tra i due litiganti il terzo affoga. E noi continuiamo a guardare a chi litiga.