Teatro e disabilità

giovedì 1 Dicembre, 2022

Il collettivo Clochart e il teatro di Giorgia: «Sul palco sono libera»

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In scena la decisione di avere un figlio down. La protagonista: «recito e amo la vita. Voglio raccontare a tutti la mia storia»

«No Giorgia non è così la battuta, cosa devi dire?» Michele Comite si ferma, nella sala prove del Collettivo Clochart cala il tipico silenzio che accompagna le numerose prove delle scene quando bisogna lavorare sui dettagli. Alle pareti sono appesi specchi e sbarre per la danza, sul pavimento un grande tappeto di gomma nero quadrato delimita lo spazio della scena, al centro ci sono i due attori, seduti, e con una casetta dal tetto rosso poggiata al loro fianco. «Riparti dall’inizio forza! Com’è che comincia? Specchio specchio delle mie brame…», Giorgia esita per alcuni secondi e Michele, attore e regista del collettivo, non fa nulla per imbeccarla, le lascia il tempo necessario a recuperare la memoria della battuta e la corretta inflessione nella voce. Giusto così, un’attrice, a pochi giorni dal debutto in teatro, deve sapere a memoria il copione ed essere in grado di recitarlo con le intenzioni e i movimenti costruiti in mesi di prove. Questa regola vale anche per Giorgia, il fatto che abbia la sindrome di Down, infatti, non può e non deve limitare le sue capacità di attrice. Giorgia ci pensa ancora per un attimo, in mano ha uno specchio, ci guarda dentro e poi si accende: «Specchio specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame? La mamma? Ma no! Io sono la più bella!». Battuta perfetta, le prove riprendono con il loro ritmo. In una pausa tra una scena e l’altra ne approfittiamo per parlare con Giorgia e il resto del collettivo, sono giorni frenetici il loro nuovo spettacolo, Down, debutterà domani a Rovereto e tutti sentono l’emozione della prima. Giorgia un po’ di più forse, non è il suo primo spettacolo con la compagnia, ma è il primo a nascere da un lavoro costruito su di lei e sulla sua storia.
Il mondo di Giorgia
Giorgia Benassi ha 35 anni, è di Reggio Emilia, fa teatro da più di 10 anni, ma la svolta nella sua carriera è arrivata anche grazie al collettivo clochart quando, nel dicembre 2019, Michele e la sua socia, la coreografa Hillary Anghileri, hanno fatto una call per trovare un’attrice, con sindrome di down, per lavorare alle produzioni della compagnia impegnata nel campo della disabilità fin dalla sua fondazione. Si presentarono in sei e dopo un provino è stata Giorgia a ottenere la parte. Da allora le sue settimane si dividono tra Reggio e Mori, i suoi genitori la accompagnano, lei si ferma i giorni necessari a preparare gli spettacoli e poi torna giù. Sul lavoro Giorgia è molto seria e disciplinata, quando arriviamo la troviamo impegnata nel riscaldamento che precede le prove. Si parte dalla punta del piede e si procede fino alla testa con uno stretching che abbraccia tutto il corpo e permette poi di eseguire i passi di danza e i movimenti richiesti dallo spettacolo. Lei apprezza le richieste che arrivano da Michele e Hillary: «sono bravi, però sono veramente tosti! A me però piace così, mi piace quando si “arrabbiano” con me perché vogliono di più, perché io so che posso farcela, sono tosta anche io e non voglio mai mollare. So che quando mi chiedono qualcosa è perché sanno che ce la posso fare».
E a Giorgia in questo spettacolo Michele ha chiesto molto. Down non parla solo della disabilità ma è uno spettacolo che, portando in scena una figlia, una madre e un padre, vuole parlare della scelta di mettere al mondo una persona con la sindrome di down. Si tratta di una scelta dolorosa e complessa. Nessuno la conosce meglio di Giorgia e dei suoi genitori, Angelo e Cinzia. Nel 1987 quando si trovarono di fronte a questo bivio presero una direzione e poi, a ottobre, nacque Giorgia. Lei ne parla con leggerezza, ma con la consapevolezza di cosa questo abbia significato «È importante per me essere in vita (ride). Quando hanno saputo che avevo questo cromosoma in più hanno comunque deciso di mettermi al mondo. – Giorgia si ferma per un attimo, fissa un punto preciso con gli occhi e si morde il labbro superiore prima di ripartire – Lo hanno fatto con fatica, mi hanno fatto crescere dandomi fiducia. Io non sapevo camminare, non sapevo parlare e loro, con pazienza, mi hanno aiutato. Quando hanno visto che ero timida e non riuscivo ad aprirmi mi hanno fatto fare teatro e ho scoperto la mia passione che mi aiuta tanto».
«Recitare è libertà»
Giorgia ci tiene a farci capire quanto questo lavoro sia importante per lei «più faccio, più recito e più mi sento libera. Vado avanti perché voglio aprirmi, più persone conosco, più mi impegno e più sto bene». Che quello di Giorgia sia un vero e proprio lavoro ci tiene a specificarlo anche Michele Comite fondatore, assieme a Hillary Anghileri, del Collettivo Clochart: «Questa è la missione che ci siamo dati fin dall’inizio: professionalizzare e rendere il più inclusivo possibile il ruolo dell’attore e del danzatore. Giorgia è un’attrice regolarmente assunta e come tale ha gli stessi diritti e gli stessi doveri di un qualunque lavoratore».
Lo spettacolo
La sua storia è stata la base di partenza di Down, ma la stesura finale della sceneggiatura poggia sulle testimonianze di tante famiglie incontrate negli anni dal collettivo fondato nel 2012. «Volevamo creare uno spettacolo che parlasse attraverso una narrazione collettiva – spiega Michele Comite – ne è nata una storia universale in cui molte famiglie si possono riconoscere». Oltre al tema, già di per sé forte, della genitorialità nell’opera questo si porta con sé anche altre tematiche: i sensi di colpa, demoni che spesso un genitore affronta da solo, i pregiudizi che caratterizzano la vita delle persone con disabilità, «Einstein diceva “è più facile spezzare un atomo che un pregiudizio”» dice sorridendo Michele, e poi forse la paura più grande di ogni genitore: Il dopo di noi, ossia cosa ne sarà del proprio figlio con disabilità quando i famigliari non se ne potranno prendere più cura.
I personaggi
Questi temi nello spettacolo vengono raccontati attraverso 3 personaggi, Michele interpreta il padre «è un uomo che c’è e non c’è, che non si sa se rimarrà o se ne andrà». Il centro della scena, come genitore, lo prende allora la figura della madre, interpretata dalla giovane ballerina e attrice Viviana Pacchin. «il ruolo mi è venuto quasi naturale – racconta – perché ho sempre avuto un bellissimo rapporto con mia madre. Anche se per studio o per lavoro mi sono spesso allontanata da casa l’ho sempre sentita molto vicina». Viviana Pacchin era alla prima esperienza nel lavorare con una collega con disabilità: «Mi ha sorpreso sia per le sue capacità, ma soprattutto per la forte intesa che si è creata velocemente». Un’intesa fondamentale per dare vita allo spettacolo: «Parliamo di sentimenti complessi – spiega Viviana – ma raccontati con cura e delicatezza. Giorgia è stata la chiave per noi di accedere a queste emozioni e lo sarà anche per gli spettatori. Io porto sul palco una donna che sente il peso delle responsabilità della scelta che ha deciso di fare, un peso che diventa più leggero ogni passo avanti fatto da Giorgia, ogni parola nuova appresa e ogni piccolo successo quotidiano». Quella dei «passi» espressa da Viviana non è solo una metafora, ma indica una precisa scelta artistica dello spettacolo. La danza alterna, con la delicatezza e la gravità dei corpi, i momenti diversi dello spettacolo. «Spesso i corpi raccontano meglio e in maniera meno banale i nostri sentimenti rispetto a parole che rischiano di suonare vuote o retoriche» spiega Michele Comite. Il lavoro di costruzione delle parti danzate ha coinvolto Giorgia, Viviana e soprattutto Hillary: «Siamo partiti dallo studio della favola di Hansel e Gretel, archetipo dell’abbandono e poi abbiamo dato spazio all’improvvisazione delle attrici. Viviana per tutto lo spettacolo ha una casetta in testa, un forte simbolo ma anche un mezzo per limitarne i movimenti e fare vivere anche a lei una difficoltà. Ogni tanto poi Viviana mette questa casetta sulla testa della figlia e la cosa bella – dice Hillary abbassando leggermente il tono della voce – è che Giorgia esce fuori nella sua danza e nella sua recitazione proprio quando la casa non c’è. Un po’ come se fosse fuori da queste protezioni che le persone trovano la libertà e riescono a sbocciare». Giorgia è la chiave dello spettacolo, è contemporaneamente trama e ordito dell’intreccio: danza, recita, sorride e si dispera, consola la madre e insegue il padre, rimane in secondo piano, ma solo per prendersi poi la scena con un monologo che in cui mette tutta sé stessa.
Il tempo a nostra disposizione è quasi finito, gli attori scalpitano per tornare a provare: manca ormai poco alla prima. Il debutto è in calendario per venerdì 2 ottobre (domani) al teatro Zandonai di Rovereto, alla mattina spazio agli studenti dei licei delle città della quercia. Alla sera invece alle 20:45 le porte sono aperte per tutti, meglio prenotare però.
Tra sogni e progetti
L’augurio è di avere presto anche appuntamenti a Trento e di far vedere lo spettacolo a più persone possibili, intanto però il collettivo sta già pensando alla prossima avventura: «Siamo a metà della trilogia sulla disabilità – spiega Michele Comite – con il primo spettacolo, Despresso, abbiamo parlato di depressione, con Down del tema della nascita, il terzo spettacolo si chiamerà Dildo, vogliamo parlare di sessualità, un tema davvero tabù nel mondo della disabilità». Down nel raccontare la scelta di mettere al mondo una persona con disabilità non esprime giudizi, è una cosa che il collettivo ci ha tenuto a precisare: «L’arte non deve giudicare – dice Michele Comite – non possiamo immaginare quanto sia doloroso fare una scelta del genere, vogliamo solo raccontare una storia in cui tutti si possano riconoscere». Cosa ne pensano loro però ho dovuto chiederglielo, cosa farebbero se si trovassero nella posizione di fare questa scelta?
Viviana è sicura: «Lavorare con Giorgia mi ha fatto capire che avere un figlio è sempre un dono, non importano difficoltà e fragilità». Più pensieroso Michele: «C’è una parola che mi piace tanto: coraggio. Non so cosa farei ma sono sicuro che farei affidamento sulla mia esperienza da educatore e che vorrei fosse una scelta condivisa».
Non ha dubbi Giorgia: «Fatelo! Mettete al mondo i vostri figli e le vostre figlie. Perché la vita è bella, il futuro è bello. Ci vuole cuore però eh! Bisogna metterci cuore, passione e anima. Bisogna fare la nostra vita e pensare anche a realizzare qualche sogno. Se riesco io faccio in modo di realizzare tutto». E quali sono i sogni di Giorgia? «Voglio stare di più qui a recitare, e poi voglio girare tutti i teatri del mondo! Soprattutto sogno di recitare a Milano e New York».