Alimentazione

venerdì 23 Febbraio, 2024

I tesori nascosti della gastronomia trentina: «Le mele storiche e il grano della Valsugana diventino presidi slowfood»

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Martini, presidente regionale dell’associazione Slowfood: «Difendiamo le attività anche da modelli economici inadatti alle aree di montagna»

Le abbiamo viste in Italia, in Francia, in Germania, in Spagna e in molti altri Stati europei. Lunghe file di trattori hanno sfilato in molte grandi città per protestare contro le politiche nazionali ed europee applicate al settore agricolo: contro il modo in cui sono assegnati i sussidi per le attività agricole, i vincoli da rispettare per ottenerli e le norme europee che mirano a ridurre le emissioni del settore. È emerso, con un’evidenza lampante, lo scarto tra la necessità di rendere il settore più sostenibile e le esigenze degli agricoltori, che vivono una situazione complessa.
Ma al di là delle contraddizioni, esistono anche esempi di buone pratiche, realtà che promuovono un modo diverso di pensare la filiera agroalimentare. Una di queste è Slow Food, movimento internazionale che dal 1986 promuove il diritto a un cibo buono, pulito e giusto, frutto di una processo produttivo più «lento» e sostenibile. Anche in Trentino-Alto Adige, Slow Food può contare ventidue Presìdi, cioè piccole produzioni tradizionali riconosciute e sostenute dal movimento per il loro valore territoriale, tradizionale e di sostenibilità. Degli esempi di buone pratiche produttive, capaci di convincere la cittadinanza che la transizione ecologica non sia un processo catastrofico e fatto di privazioni, ma un traguardo possibile e socialmente desiderabile.
«I Presìdi Slow Food sono solo uno dei tanti progetti che seguiamo sul territorio ed è nato per tutelare soprattutto la biodiversità», spiega Tommaso Martini, presidente di Slow Food Trentino Alto-Adige. «In Trentino, attualmente, contiamo sedici Presìdi di varie tipologie e intanto stiamo lavorando su alcuni nuovi progetti. Da alcuni anni stiamo cercando di creare un presidio per le mele storiche del Trentino, in modo da tutelare la loro biodiversità, la loro storia e tutte quelle modalità alternative di coltivazione della mela. Inoltre, stiamo lavorando per riconoscere il mais «spin» che si coltiva in Valsugana».
Il riconoscimento a Presidio è solo una tappa di un lungo lavoro fatto da Slow Food insieme al territorio. «Si tratta di progetti di lungo corso e proseguono anche dopo aver riconosciuto come Presidio una produzione locale», prosegue Martini. «Solitamente, assegniamo questo riconoscimento alle produzioni tradizionali che rischiano di scomparire: quindi, è necessaria un’attività costante per garantire la loro sopravvivenza. Si tratta di comunità di produttori che vanno incontro a molte difficoltà: in Trentino, molte attività si trovano a rischio per via dell’abbandono della montagna, della crisi climatica e del mancato ricambio generazionale. Tuttavia, c’entra anche l’adozione di modelli economici inadatti alle aree di montagna, intensivi e di scala agroindustriale. I loro limiti sono evidenti, e lo vediamo quotidianamente».
Una filiera alimentare spesso in difficoltà è quella del latte crudo: l’Unione Europea consente il suo utilizzo, ma molti Stati impongono comunque che il latte sia sottoposto a trattamenti termici. «Otto dei sedici presidi trentini fanno parte della filiera del latte crudo», aggiunge ancora il presidente. «I produttori spesso decidono di pastorizzare il latte per paura di non rispettare i vincoli di produzione, nonostante il latte crudo conservi l’aroma delle erbe e dei fiori del pascolo. Quindi, che senso ha tenere aperta una malga a 2mila metri se poi il formaggio avrà lo stesso sapore di quello che si fa in pianura?».
Conseguenza della nomina a Presidio è mettere in luce la produzione, con alcuni vantaggi per il territorio. «Innanzitutto permette ai professionisti della ristorazione di riconoscere le materie prime sostenibili e legate al territorio», afferma Martini. «Poi, grazie al Presidio, un certo tipo di turismo che ricerca una relazione più vera col territorio può trovare delle comunità che fanno al caso suo. Infine, permette alla comunità di ritrovare la propria vocazione, e di rapportarsi con altri territori e le loro filiere per risolvere assieme problemi comuni».
Le proteste degli agricoltori hanno riportato l’attenzione sul rapporto tra la filiera agroalimentare e le nuove sfide poste dalla crisi climatica. In tutto questo, le iniziative di Slow Food suggeriscono alcuni temi cardine. «Quello del sistema alimentare è un argomento enorme», prosegue il presidente. «Ed è molto importante che ci siano proteste, cambiamenti radicali e diversità di opinioni: è l’unico modo per trattarlo senza banalizzare. Non ci sono soluzioni semplici, ma il nostro movimento propone alcuni spunti. Ad esempio, cerchiamo di aumentare la consapevolezza sulla filiera alimentare: l’educazione alimentare dovrebbe diventare una materia scolastica e insegnare a fare scelte consapevoli. È poi necessario prestare attenzione allo spreco. Se il 33% del cibo viene sprecato allora è chiaro che questo spreco è fisiologico nel sistema alimentare, necessario anche dal punto di vista economico: è tutto il sistema che va ripensato. Suggeriamo anche di consumare meno carne, di maggiore qualità, e di puntare su cereali e legumi. Infine, spingiamo a sostenere un’agricoltura familiare, un tipo di produzione che già sfama circa metà della popolazione globale».
I Presìdi si inseriscono proprio in questo nuovo modo di pensare il sistema alimentare, come conclude sempre il presidente Martini: «Spesso si parla di crisi climatica con toni catastrofici e si descrive la transizione ecologica come una rinuncia continua. Ma è una comunicazione che non sortisce effetti: Alexander Langer diceva ancora trent’anni fa che la conversione ecologica avverrà solo se sarà socialmente desiderabile. I Presìdi sono modelli sostenibili che possono funzionare, che mitigano la crisi climatica e che, senza tutela, andrebbero persi».